A rischio fino a diecimila posti di lavoro.
A seguito dell’annuncio dell’acquisizione di Credit Suisse da parte di UBS giunta nella giornata di domenica, è chiaramente emerso che, oltre all’impegno ingente e impressionante richiesto alla collettività in forma di sostegno finanziario da parte della Confederazione e della Banca nazionale, sarà necessario uno sforzo collettivo di sostegno alle numerose persone, fino a 10'000 in tutta la Svizzera, che perderanno il loro posto di lavoro. Il Credit Suisse impiega nel nostro cantone circa 500 persone.
Innanzitutto la nostra preoccupazione è indirizzata alla sorte di queste persone che si troveranno senza un impiego e spesso con una formazione molto specifica e destinata ad essere spesa in un istituto bancario. Analizzando la situazione anche sotto questo aspetto i numeri non sono incoraggianti: secondo i dati forniti dall’Ustat le grandi banche negli ultimi 10 anni hanno quasi dimezzato il numero di impiegati sia in Svizzera che in Ticino e chi ha perso il lavoro non è stato assunto nelle banche più piccole che, anche se in misura inferiore, complessivamente hanno visto ridimensionato il personale. In che misura il mercato del lavoro nel settore finanziario sarà in grado di assorbire chi perderà il proprio impiego? E con quali livelli salariali?
Non dimentichiamo poi l’indotto: tutte quelle aziende che offrivano servizi di supporto, per esempio nel settore informatico, ma anche nella manutenzione degli stabili o nella ristorazione, ad un’azienda di grandi dimensioni che scomparirà: un colpo in questo momento difficile da quantificare.
Realisticamente, è importantissimo agire in modo tempestivo, oltre che con un piano sociale che tenga conto della straordinarietà della situazione, con un preciso piano di riqualifica e formazione che consenta alle persone coinvolte di rientrare nel mercato del lavoro con competenze spendibili in altri settori.
Per giungere a questo obiettivo è importante che nel nostro cantone si attivino tutti quegli enti e quelle persone che possono offrire un contributo. Per questo chiediamo che si attivi una task force per partecipare alla quale mettiamo volentieri a disposizione le competenze del sindacato OCST.
A livello nazionale chiediamo invece che si attivi una discussione come società su quanto accaduto. È assolutamente inaccettabile infatti che la collettività, le lavoratrici e i lavoratori si trovino a dover pagare in modo molto doloroso per quanto compiuto, peraltro all’estero, da manager poco prudenti. Facile chiedere a gran voce libertà economica assoluta quando poi è qualcun altro ad assumersi le conseguenze finanziarie, umane e sociali dei propri gesti sconsiderati