Il Comitato OCST-Docenti esprime apprezzamento sia per le modifiche apportate al progetto “La scuola che verrà” e pubblicate nel messaggio governativo del 5 luglio scorso, sia per gli approfondimenti sviluppati in seno alla Commissione scolastica e volti alla ricerca di un punto di incontro tra le forze politiche che salvaguardi gli sforzi profusi negli ultimi anni dai vari attori.
Pur sostenendo l’avvio della sperimentazione, il Comitato OCST-Docenti propone tuttavia alcuni suggerimenti atti a garantire maggiore qualità al nostro sistema scolastico.
1. Chiede di definire chiaramente il mansionario delle nuove figure del consulente didattico e del coordinatore di sede previste dal progetto e di evitare dannose sovrapposizioni di ruoli, specie in relazione al preesistente mandato dell’esperto di materia.
2. Chiede di vigilare affinché la differenziazione delle pratiche pedagogiche (che consente, tra l’altro, di rimodulare la lunghezza e la complessità dei compiti, la loro scadenza,…) non si tramuti in differenziazione degli obiettivi formativi.
3. Chiede, in presenza di “allievi molto deboli” che “non dovessero raggiungere gli obiettivi minimi” e per i quali si dovesse decidere un “adattamento” degli stessi, di non limitarsi a differenziare gli obiettivi esclusivamente tramite la collaborazione tra docente disciplinare e docente di Sostegno Pedagogico, ma di coinvolgere nella decisione anche i genitori dell’allievo a cui si rivolge la modifica.
Inoltre il Comitato OCST-Docenti rileva un pericoloso squilibrio tra la grande attenzione attribuita ad una riforma concernente gli aspetti organizzativi della scuola e lo scarso interesse rivolto invece ai contenuti dell’insegnamento, modificati in seguito alla progressiva adozione del nuovo “Piano di studi della scuola dell’obbligo ticinese” (approvato in via provvisoria dal governo per tre anni ed introdotto nelle scuole a partire dal settembre 2015 ad anno scolastico già impostato ed avviato), il quale si spinge ben oltre il semplice allineamento delle tappe di scolarizzazione richieste dal Concordato Harmos o il passaggio dalla prospettiva “del che cosa il docente deve insegnare” a quella “del che cosa l’allievo deve apprendere”. Pur trattandosi di un testo la cui comprensione e la cui applicazione hanno generato e stanno generando non pochi problemi nel mondo della scuola, specialmente in assenza del complemento informativo che era stato inizialmente prospettato, le autorità scolastiche non hanno ancora indicato se e come intendano giungere ad un bilancio e ad una sua eventuale revisione.
Nel nuovo piano, ad esempio, il “sapere” è stato ritenuto legittimo solo nella misura in cui esso risulti utile alla risoluzione di situazioni-problema di natura spesso banalmente pratica, mettendo in discussione il compito fondamentale della scuola di proporre anche un sapere fine a se stesso: un “imparare per imparare” o, più semplicemente, un “imparare perché è bello”, “perché è interessante”, “perché è umanamente rilevante”. Ciò comporta un notevole indebolimento della dimensione culturale che pure dovrebbe costituire una delle finalità della scuola. A questo proposito, si consideri la difficoltà di trasmettere la passione per le opere d’arte, ovvero di realizzazioni che, per definizione, non hanno utilità pratiche e malgrado ciò rientrano a pieno titolo nelle attività più nobilmente “umane” realizzate dalla notte dei tempi e che di conseguenza devono essere parte integrante dell’educazione scolastica. Anche il “saper essere” sembra aver subito un processo di diluizione: da “competenza umana”, costruita nel tempo e primariamente attraverso il confronto serrato con la testimonianza di “persone mature”, esso si è ridotto a una serie di atteggiamenti e di abilità tecniche, quali “collaborazione”, “pensiero riflessivo e critico”, “vivere assieme”, che non sembrano cogliere pienamente la sfida di quell’educazione ai valori che la scuola deve realizzare secondo lo stesso mandato della sua legge.
Evidentemente la prospettiva di valutare l’esito di una sperimentazione organizzativa della scuola sulla base di un piano degli studi a sua volta da valutare rende più incerti i termini della questione.
4. Pertanto si chiede di definire in modo chiaro anche le conclusioni cui sono giunte le autorità in merito al nuovo “Piano di studi” dopo una adeguata ponderazione ed un confronto con i rappresentanti del mondo della scuola.
La convergenza di alcune prescrizioni operative provenienti dalla “Scuola che verrà” e di disposizioni contenute nel nuovo piano riduce enormemente l’autonomia didattica di un professionista dell’insegnamento quale è il docente tutelata dalla “Legge della scuola” (articoli 45 e 46). Pur riconoscendo ed apprezzando l’efficacia delle pedagogie attive, fondate ad esempio sulle situazioni-problema o sui lavori in gruppo, rammentando che esse non rappresentano comunque una novità e che già da decenni sono state integrate nella scuola, si ritiene controproducente appiattire con insistenza e senza motivazioni fondate la didattica su un unico approccio. Occorre invece continuare ad incoraggiare la molteplicità e la variabilità degli approcci didattici, che permettono di diversificare gli stimoli degli allievi, attivandone le diverse intelligenze. Una scuola fondata esclusivamente sullo studio di situazioni-problema risulterebbe rapidamente scontata, poco stimolante e troppo parziale rispetto all’ampio ventaglio di operazioni e di capacità che essa ha il compito di esercitare presso i suoi alunni.
5. Si chiede quindi di mantenere il riconoscimento della piena professionalità dei docenti, che si manifesta anche attraverso una gestione responsabile dell’autonomia didattica, sia all’interno del nuovo “Piano di studi della scuola dell’obbligo ticinese”, sia nella futura organizzazione del sistema scolastico.
Infine, suddividere gli allievi durante i laboratori sulla base delle loro competenze o delle loro potenzialità pone seri problemi. Infatti, pur trattandosi di una sorta di differenziazione strutturale, a prima vista simile a quella attualmente applicata dai livelli in tedesco e matematica, essa si distinguerebbe tuttavia da ciò che avviene oggi, in quanto non specifica chiaramente i criteri ed il metodo di distribuzione degli allievi, non si confronta con le famiglie nella scelta, non prevede due programmi alternativi e non indica neppure se la valutazione finale delle prestazioni degli allievi manterrà un'unica scala oppure se verrà rapportata a quanto proposto in classe, comportando così un diverso valore per un medesimo voto numerico a seconda del laboratorio frequentato.
6. Perciò si chiede di definire questi aspetti essenziali prima di sperimentare tale formula.