Esito referendum LAN - Un breve commento
L’OCST si rammarica del risultato della votazione cantonale sulle Modifiche alla Legge sulle aperture dei negozi dello scorso 18 giugno.
L’OCST si rammarica del risultato della votazione cantonale sulle Modifiche alla Legge sulle aperture dei negozi dello scorso 18 giugno.
Disinformare e minimizzare: ecco il linguaggio scelto dai fautori della Legge sulle aperture dei negozi per la campagna in vista della votazione del prossimo 18 giugno. Il comitato unitario La domenica non si vende, che questa legge la combatte, preso atto della lunga serie di false informazioni e di considerazioni fuorvianti sentite negli ultimi giorni, tiene a precisare alcuni dati di fatto, perché le cittadine e i cittadini chiamati a votare hanno diritto di scegliere sulla base di informazioni corrette.
Il testo in votazione il prossimo 18 giugno non è una “piccola modifica” di legge, ma un cambiamento sostanziale della stessa, perché liberalizza il lavoro festivo e domenicale nel settore del commercio al dettaglio su quasi tutto il territorio cantonale per tutti i negozi entro i 400mq. Offre cioè alla grande distribuzione la possibilità di aprire nelle zone turistiche (i tre quarti del territorio cantonale) tutte le domeniche dell’anno fino alle 22.30, possibilità che la precedente riforma accordava solo ai piccoli negozi.
Non si tratta dunque affatto di una sola domenica, come continuano a affermare ingannevolmente i fautori delle liberalizzazioni. È un attacco al principio, sancito dalla legislazione federale a tutela dei lavoratori, della loro vita privata e del diritto al riposo, che consente il lavoro domenicale solo nei rami professionali ritenuti essenziali e in cambio di un’indennità salariale del 50%.
Questa modifica aumenterebbe ulteriormente la precarietà cui queste lavoratrici e questi lavoratori già sono confrontati, con contratti su chiamata o fissi ma che non garantiscono un minimo di ore lavorative, turni spezzettati e salari bassi.
L’estensione degli orari garantirebbe la creazione di nuovi posti di lavoro?
L’estensione degli orari non garantirebbe la creazione di nuovi posti di lavoro: non è mai successo né in Svizzera, né in nessun’altra parte del mondo. Sono innumerevoli gli studi internazionali che dimostrano proprio il contrario: secondo Confesercenti in Italia nei 18 mesi successivi all’introduzione della liberalizzazione delle aperture domenicali sono stati bruciati 90 mila posti di lavoro e 32 mila negozi di prossimità hanno chiuso i battenti (2 negozi all’ora). La Oxford Economics ha evidenziato come le aperture domenicali generalizzate in Gran Bretagna hanno condotto ad una diminuzione dell’1.9% dei posti di lavoro nel settore. La Paris School of Economics, invece, ha recentemente evidenziato che tra i perdenti delle aperture domenicali ci sono le persone con famiglia, soprattutto genitori single: questa specifica tipologia di lavoratori e lavoratrici è stata espulsa dal mercato del lavoro nel commercio al dettaglio, a causa delle grandissime difficoltà di conciliare il lavoro domenicale con gli impegni familiari.
I sindacati retrogradi remano contro il futuro?
Contrariamente a quanto affermano i fautori della legge, lo shopping 7 giorni su 7 non è sinonimo di modernità che invece fa rima con benessere, ma causa di maggiore sfruttamento del personale. La liberalizzazione degli orari di apertura dei negozi non è il futuro, ma fa già parte di una concezione della società del passato. I giovani di oggi chiedono una società sostenibile, una migliore conciliazione fra vita privata e professionale e remunerazioni dignitose. Questo non è compatibile con le aperture generalizzate.
I consumatori hanno bisogno di questa riforma? Il turismo degli acquisti dipende dalle chiusure domenicali?
L’estensione delle aperture non rappresenta un bisogno per i consumatori: gli orari attuali previsti dalla legge entrata in vigore solo nel 2020, offrono sufficiente libertà di scelta per fare la spesa. E non è nemmeno un antidoto (altra falsità sostenuta dai fautori) al fenomeno del turismo degli acquisti in Italia, che, evidentemente, è una pratica figlia della costante perdita di potere d’acquisto delle ticinesi e dei ticinesi. I risultati dell’ultimo sondaggio di Comparis parlano chiaro: l’aumento generale dei prezzi ha un forte impatto sul budget delle famiglie e se sommiamo questo ai livelli salariali sempre più miseri in Ticino, capiamo benissimo che chi deve provvedere alle spese di una famiglia continuerà a scegliere di spendere laddove costa meno.
I piccoli commerci beneficeranno di questa riforma?
N I piccoli commerci, che peraltro già oggi possono aprire 7 giorni su 7 dalle 6 alle 22:30, non trarranno vantaggio da questa riforma. Anzi, disponendo di poco personale saranno penalizzati da questa legge, a differenza della grande distribuzione, che invece si può permettere di far ruotare a piacimento (altro che libertà di scelta delle venditrici e dei venditori) i propri impiegati.
Un minimo di onestà intellettuale con i votanti
Che l’obiettivo dei fautori della riforma sia quello di raggiungere una liberalizzazione totale, 7 giorni su 7, degli orari di apertura dei negozi non ci scandalizza affatto. Vorremmo però che i votanti siano informati correttamente perché possano prendere consapevolmente una decisione. Vorremmo che sappiano che la posta in gioco il 18 giugno non è di poco conto.
Per avere una panoramica su tutte le fake news messe in circolazione in questa campagna visitate https://noaperturedomenicali.ch/fake-news/
https://www.noaperturedomenicali.ch
Un ampio ventaglio di organizzazioni e associazioni ticinesi si sono unite nel Comitato “La domenica non si vende” a sostegno del Referendum contro le modifiche alla Legge sulle aperture dei negozi.
I sindacati OCST e Unia hanno deciso di lanciare il referendum contro la decisione del Gran Consiglio di modificare la legge sulle aperture dei negozi, che permetterà di prolungare gli orari di apertura. Sono state raccolte 7'610 firme valide. Nelle prossime settimane si stabilirà la data del voto.
NO perché il personale ha già subito pesanti peggioramenti
L’introduzione della nuova legge sugli orari di apertura dei negozi (LAN), risalente a due anni fa, ha già aggravato le condizioni lavorative del personale, consentendo aperture generalizzate per 3 domeniche e per tutti giorni festivi non parificati alla domenica, l’ampliamento degli orari di apertura serali fino alle 19:00 e le aperture 7 giorni su 7 dalle 6:00 alle 22:30 nelle zone turistiche, che rappresentano i tre quarti del Cantone. I lavoratori e le lavoratrici del commercio al dettaglio negli ultimi anni sono quindi già stati confrontati con un pesante deterioramento delle condizioni di lavoro: pressione, ritmi di lavoro insostenibili e bassi salari sono ormai la normalità nel settore.
NO perché il personale ha diritto a godere del giusto tempo di riposo e della protezione della propria vita privata e familiare
Le modifiche alla LAN votate dal Gran Consiglio prevedono: un aumento da 3 a 4 domeniche all’anno di apertura; l’apertura fino alle 19:00 nei giorni festivi e nelle domeniche che precedono il Natale; l’apertura 7 giorni su 7 dalle 6:00 alle 22:30 per i negozi fino a 400mq di superficie nelle zone turistiche, che rappresentano la quasi totalità del territorio cantonale. Queste aperture indiscriminate ab-bracciano il chiaro progetto politico di liberalizzazione selvaggia volta a smantellare i diritti e le tutele dei lavoratori. La domenica rappresenta l’unico giorno della settimana in cui i lavoratori e le lavoratrici del settore hanno la possibilità di dedicarsi alla famiglia e alla vita sociale. Gli ulteriori peggioramenti previsti sono un oltraggio nei confronti del personale di vendita, che già non ha la possibilità di godere pienamente del proprio tempo libero.
NO perché aggrava il frazionamento della giornata lavorativa e non crea posti di lavoro
L’esperienza data dall’introduzione della LAN ha chiaramente dimostrato come gli ampliamenti degli orari di apertura abbiano ulteriormente precarizzato e indebolito il personale di vendita. Contrariamente a quanto dichiarato dai promotori dell’iniziativa, nessun posto di lavoro è stato creato nel settore, ma al contempo sono aumentati i contratti a tempo parziale e quelli su chiamata senza ore garantite; di conseguenza è aumentato il frazionamento della giornata lavorativa che costringe i lavoratori a turni spezzati e consente ai datori di lavoro di non assumere nuovo personale. Con le modifiche di legge adottate queste dinamiche si aggraverebbero.
NO perché il piccolo commercio sarà divorato dai grandi gruppi
Il raddoppio dei limiti delle superfici di vendita autorizzate all’apertura generalizzata 7 giorni su 7 andrà a favorire la grande distribuzione e i grandi gruppi commerciali che spazzeranno via in piccoli commerci, che già oggi faticano a restare aperti e fronteggiare la concorrenza dei giganti. Il grande commercio, che già ha beneficiato enormemente della crisi Covid assicurandosi profitti miliardari, senza per altro ricompensare i lavoratori con dei giusti aumenti salariali, sarà l’unico vincitore di que-sta manovra che va scapito delle maestranze, dei piccoli commerci e dell’intera società.
NO perché attraverso la tattica del salame si plasma una società profonda-mente lacerata
La portata distruttiva del tessuto sociale ed economico delle liberalizzazioni degli orari dei commerci è una realtà già sperimentata in altri stati. In Svizzera, nel segno di una società dei consumi che lavora e produce 24 ore su 24 e che favorisce unicamente il grande capitale, si sta attuando la seconda fase di un progetto di liberalizzazione selvaggia realizzato attraverso la tattica del salame, che attacca i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori e smantella le loro tutele un pezzo alla volta, cercando di non attirare l’attenzione. Ma non illudiamoci che questo progetto riguardi solo il commercio, perché in realtà è un piano molto più ampio che sta coinvolgendo e coinvolgerà tutti gli altri settori professionali.
Lo scorso 28 giugno u.s. la Società Burberry ha comunicato ai dipendenti l’apertura della procedura di consultazione a seguito di un possibile licenziamento collettivo.
La pubblicità apparsa questa mattina sui quotidiani ticinesi relativa all’apertura dei negozi nella giornata di giovedì 19 marzo 2020 (festività di San Giuseppe) lascia senza parole.