La cosiddetta “finestra di crisi” di cui ha beneficiato il Ticino – unico Cantone svizzero a potersene servire – ha comportato la chiusura o la limitazione di alcune attività economiche. Questa decisione ha avuto un impatto sicuramente importante sulla nostra economia e sui flussi di lavoratori transfrontalieri e ha permesso di contenere la propagazione del virus a beneficio della popolazione ticinese. La decisione ha suscitato un confronto duro tra imprenditori e sindacati. 

 

 

Potremmo dire, forzando un po’, tra la necessità dell’economia e la necessità di proteggere i lavoratori dal rischio di contagio e frenare l’evoluzione dell’epidemia, che in quei giorni e prima di altre regioni svizzere aveva raggiunto in Ticino una diffusione importante. Si trattava perciò di condividere un equilibrio, tutt’ora attuale, tra la protezione efficace della salute dei lavoratori e, in generale, della popolazione e l’esigenza di non lasciare inattiva troppo a lungo la produzione di beni e servizi. L'OCST era in quel frangente particolarmente vigile, conoscendo bene la realtà del nostro mercato del lavoro segnato da frequenti casi di abuso, pensiamo al dumping salariale, per altro particolarmente diffuso nei settori privi di contratti collettivi di lavoro.

Le tre parti, i rappresentanti dell’economia, dei sindacati e dello Stato hanno poi raggiunto un accordo – rinnovato settimanalmente – per autorizzare una ripresa graduale e controllata delle attività produttive nel rispetto delle norme di sicurezza per i lavoratori e mettendo a punto un sistema di controllo per sanzionare chi ne approfittava. La sicurezza sul lavoro è una responsabilità di tutti. Si può forse aggiungere che, da un lato, il sistema federalista ha funzionato in modo sussidiario riconoscendo la particolare situazione di pericolo in cui versava il Ticino e, dall’altro, si è dimostrato efficace il confronto tra le parti sociali permettendo di raggiungere una soluzione nell’interesse generale senza che la dovesse imporre lo Stato. L’economia ha chiesto a gran voce interventi di sostegno, appoggiati anche dal sindacato con l’obiettivo di salvaguardare i posti di lavoro.

Il Consiglio federale, come noto, ha liberato risorse ingentissime per facilitare il credito in favore delle aziende ed estendere l’accesso alle indennità per lavoro ridotto e di perdita di guadagno. Questa misura è stata particolarmente voluta anche dal sindacato, da un lato, per evitare licenziamenti e, dall’altro, per garantire il salario ai lavoratori. Vediamo purtroppo che vi sono aziende che disattendono le legittime aspettative dei dipendenti e dei sindacati annunciando tagli all’occupazione anche in regime di lavoro ridotto. Perciò per il sindacato, dopo la drammatica emergenza sanitaria che è costata la vita a molte persone, si apre una nuova, importante prospettiva.

Quella che deve vedere le parti sociali impegnarsi in modo responsabile per limitare i danni in termini di posti di lavoro. La disoccupazione è in crescita e in prospettiva l’aumento potrebbe essere anche molto forte. D’altra parte, il tasso ufficiale non comprende i precari della gig economy con contratti a tempo parziale o di durata determinata, come pure gli interinali cui sono state ridotte le ore di lavoro.

Tre brevi accenni a preoccupazioni a breve termine che abbiamo nel quadro della strategia per uscire dalla crisi. La prima è legata ai giovani apprendisti che stanno concludendo la loro formazione professionale e che in molti casi potrebbero non riuscire a trovare un posto di lavoro dopo il diploma. Più in generale nelle scelte della formazione professionale sono aumentate in maniera significativa le nuove iscrizioni nelle professioni della cura alla persona in Supsi. Ci auguriamo che possano confermarsi e che si possa anche risolvere il problema dei posti di pratica offerti dalle nostre strutture sociosanitarie.

La seconda sono gli effetti della crisi sul nostro sistema previdenziale e in particolare sul primo e sul secondo pilastro. Sembrava fossimo vicini a un accordo tra le forze politiche per il loro finanziamento a medio termine e per migliori condizioni per le persone che perdono il lavoro a 60 anni. È una via dove le posizioni ideologiche si sono finora scontrate. Mi auguro che queste divergenze possano risolversi, una volta ancora in un’ottica di bene per tutti e intergenerazionale. Ricordo il costo pagato dalla generazione più anziana in questa epidemia.

La terza riguarda una forma di lavoro che si è improvvisamente diffusa dall’inizio dell’emergenza sanitaria: il telelavoro. Il sindacato peraltro se ne stava occupando nel quadro dello sviluppo della digitalizzazione nell’economia. A questo proposito, oggi voglio semplicemente sottolineare come l’home working non presenti solo benefici. Come invece sappiamo in molti, i lati oscuri rimangono: da come misurare la produttività dei dipendenti che lo usano agli aspetti giuridici come, per esempio, il limite tra il tempo del lavoro e quello del riposo. Ma altri diritti del lavoro a distanza dovranno essere definiti per proteggere i lavoratori, che non sono a rischio soltanto del virus. Spero, per concludere, che ognuno riesca ad avere la determinazione di perseguire quello che ci ha invitato a fare Papa Francesco, la cui lucidità di giudizio ci ha spesso impressionato in questo periodo: “Non pensiamo solo ai nostri interessi, agli interessi di parte. Cogliamo questa prova come un’opportunità per preparare il domani di tutti, senza scartare nessuno: di tutti. Perché senza una visione d’insieme non ci sarà futuro per nessuno.” 

Renato Ricciardi, Segretario cantonale OCST