Il prossimo 9 giugno, tutti saremo chiamati a esprimerci sulla modifica della legge dell’Istituto di previdenza del Canton Ticino (IPCT).
Una decisione che influenzerà significativamente la vita di 17’000 persone, ossia: lavoratori e lavoratrici impegnati quotidianamente nell’erogazione di servizi essenziali alla cittadinanza, vuoi a livello amministrativo, vuoi nel settore socio-sanitario, vuoi nel settore della sicurezza. Servizi di cui tutti noi prima o poi beneficiamo nel corso della nostra vita.
Per questo abbiamo la responsabilità di garantire che i lavoratori di questo settore beneficino di pensioni future adeguate, soprattutto a chi oggi percepisce salari più bassi, rispetto al passato, e che giocoforza sarebbe toccato maggiormente da questa mancata revisione legislativa. Vogliamo evitare in particolar modo di penalizzare chi per anni con passione e dedizione si spende e si spenderà per la collettività.
La situazione attuale della cassa pensioni è molto critica e questa categoria di lavoratori potrebbe trovarsi con una delle rendite pensionistiche più basse della Svizzera.
Il Consiglio di Stato e il Gran Consiglio hanno finalmente trovato un punto di accordo, frutto di mesi e mesi di impegno e di negoziazioni tra i rappresentanti del personale (OCST/VPOD/SIT). Si è raggiunto un compromesso equilibrato, sostenibile e pragmatico.
Il nostro voto favorevole corrisponde pure a un atto di riconoscimento nei confronti del nostro servizio pubblico e parapubblico, perché una società che desidera un servizio di qualità deve offrire condizioni sociali di pari grado. Una risposta anche al dileggio a cui sono sempre più frequentemente sottoposti i dipendenti pubblici; un atteggiamento inaccettabile che indebolisce le nostre istituzioni e, a tendere, potrebbe intaccare anche la qualità dei servizi offerti. Mai come oggi, il Ticino ha bisogno di istituzioni forti e credibili. Per questo io sosterrò con convinzione la modifica della legge dell’IPCT. Un atto dovuto per continuare a beneficiare di qualità dei servizi, cosa che buona parte del mondo ci invidia.
Giorgio Fonio