Nel 1988 iniziò la sua attività all’OCST. Che ricordi ha di quel momento?
Ha coinciso con il rientro da Friborgo dopo gli studi universitari e dopo alcune belle esperienze di lavoro nell’ambito della migrazione.
Nel 1987 il nostro sindacato aveva tenuto il congresso del cambiamento: l’avv. Jelmini era stato eletto presidente, mentre Robbiani e Leidi erano stati nominati segretari. Il tema, allora, era il rinnovamento nella continuità. Ricordo, anche se non ero presente al Congresso, il significativo intervento di mons. Corecco che aveva richiamato l’OCST ai suoi fondamenti dottrinali: l’insegnamento sociale della Chiesa. Tema, questo, che ci ha accompagnato fino ad oggi e che ho cercato di attualizzare passo dopo passo. La forte esperienza del sindacato polacco Solidarnosc mi ha segnato durante gli anni universitari. Mentre l’enciclica di Papa Wojtyla «Laborem Exercens», è stata il mio «livre de chevet».
Qual è l’aspetto del suo lavoro che l’ha maggiormente appassionata?
Quei primi anni hanno dato forma al mio lavoro di sindacalista: ho imparato quanto sia importante la prossimità dei lavoratori e la loro partecipazione al sindacato. Imparare questo è stato decisivo per capire quanto la contrattazione collettiva fosse lo strumento principale per migliorare le condizioni di lavoro delle donne e degli uomini. In quei primi anni abbiamo formato molte delegate e molti delegati sindacali. Ho incontrato persone che mi hanno insegnato molto: la passione per il lavoro sindacale e la cura dei dettagli. Il valore culturale del sindacalismo cristiano. Da lì, è nato l’impegno nella formazione dei collaboratori e dei delegati. Così, è iniziata l’amicizia operativa, ricca di molte iniziative, con il Circolo culturale Ettore Calvi, espressione della stessa preoccupazione educativa nel sindacato Cisl, con cui abbiamo condiviso valori e progetti.
Il lavoro insieme prevede che ciascuno, secondo quanto sa fare meglio, si prenda le proprie responsabilità e porti avanti la sua parte in armonia con gli altri. Significa poi rischiare dando fiducia agli altri. È un lavoro faticoso, ma che porta frutti. Innanzitutto permette di far crescere le persone. L’OCST doveva affrontare un cambio generazionale e ora, dopo otto anni, tanti giovani si sono fatti le ossa. Molti hanno assunto negli anni diversi livelli di responsabilità. E anche, finalmente, delle donne! Sono contento di aver guidato le prime nomine a donne sindacaliste in più di cento anni di storia.
Allo stesso modo, qual è invece l’evento più difficile che ha contrassegnato il suo periodo all’OCST?
Rispondo senza esitare: gli anni della pandemia di COVID-19. Ci ha messo fortemente alla prova come persone e come sindacato. Ma anche questa esperienza ci ha rafforzato. Abbiamo riorganizzato i nostri servizi, penso al servizio giuridico, alla comunicazione, all’attività esterna. In prima linea nella protezione delle lavoratrici e dei lavoratori nei posti di lavoro. Con un importante contributo del segretariato amministrativo è stato avviato un processo di aggiornamento degli strumenti di lavoro, l’informatica per esempio. Ricordando quell’emergenza devo ricordare il lavoro svolto dai rappresentanti della politica, degli imprenditori e del sindacato. Il Ticino ha saputo guadagnarsi il riconoscimento delle autorità federali, che – in un’ottica di sussidiarietà – dopo giorni di confusione, aveva compreso l’importanza di concedere ciò che la nostra Regione chiedeva in termini di operatività sanitaria e di lavoro nelle aziende. L’obiettivo di proteggere le persone passò allora dalla condivisione delle decisioni delle componenti sociali (governo, aziende e sindacati) e del Consiglio federale. L’OCST si è impegnata a fondo nelle decisioni di chiusura e riapertura delle aziende, nelle misure della Legge contro la disoccupazione a sostegno delle persone e delle aziende. Ricordo che, dal 13 marzo 2020, il Consiglio federale ha emanato diverse ordinanze per far fronte all’epidemia di COVID-19 come richiesto con forza dal Ticino.
Nel 2016 ha raccolto l’eredità di Meinrado Robbiani. Una responsabilità non da poco.
Ci siamo impegnati a continuare nella traccia segnata da chi ci ha preceduto. La responsabilità che ho ripreso da Meinrado (che è stato per quasi 30 anni alla guida dell’OCST) ha comportato un’attenzione per valorizzare quanto tracciato e nel contempo affrontare le sfide che a mano a mano si presentavano nel lavoro e nell’economia. La sensazione forte è stata di procedere su valori e modalità di lavoro consolidati e vedere la possibilità di creare una via originale.
Il sindacato e l’OCST avevano bisogno di un ammodernamento restando fedele ai valori, che hanno segnato l’origine – cent’anni fa – del sindacato cristiano-sociale in Ticino. Una sfida bellissima! Il giubileo vissuto insieme agli associati, ai collaboratori e agli ospiti nel 2019 a Bellinzona rimane per me indimenticabile. Nell’intervento nel Castelgrande avevo ricordato l’attualità della dottrina sociale cristiana: «Quanto più il nostro movimento sindacale rimarrà fedele alla sua ispirazione cristiana, tanto più la nostra azione sarà creatrice, rinnovatrice, sorprendentemente giovane».
La via aperta allora continuerà fino ad oggi attenta a leggere le esigenze dei lavoratori, promuovendo nuovi servizi per i nostri associati e realizzando il progetto di una formazione culturale dei sindacalisti e dei delegati, vera scommessa per il presente e il futuro del sindacato, come ci ha insegnato mons. Franco Biffi.
In 36 anni ha avuto modo di collaborare con molte persone. Tutte l’hanno sempre descritta come persona disponibile e aperta al dialogo. E sovente nei suoi discorsi la parola «dialogo» era presente. È stata questa la sua carta vincente?
Effettivamente è un aspetto cui tengo molto. Nella sua enciclica «Fratelli tutti» Papa Francesco approfondisce il tema del dialogo e segnala che «La mancanza di dialogo comporta che nessuno si preoccupa del bene comune». «L’autentico dialogo sociale, sottolinea il Papa, presuppone la capacità di rispettare il punto di vista dell’altro, accettando la possibilità che contenga delle convinzioni o degli interessi legittimi. A partire dalla sua identità, l’altro ha qualcosa da dare ed è auspicabile che approfondisca ed esponga la sua posizione perché il dibattito pubblico sia ancora più completo». Per noi ha voluto dire decidere il metodo di lavorare insieme. Alla base di tutto sta la relazione, che crea la fiducia. Ho cercato di essere sempre disponibile e di condividere gioie e dolori dei colleghi e ho messo passione in quello che facevo.
Il suo successore è Xavier Daniel, un giovane con cui lei ha collaborato per parecchi anni e con cui ha condiviso il titolo dell’ultimo congresso «Persone prima che risorse». Una sfida che sembra parecchio ardua.
Una cosa che mi ha appassionato, non senza qualche dolore, è stato curare con le colleghe e i colleghi del Consiglio esecutivo il ricambio generazionale nell’OCST. Siamo partiti da lontano e con rispetto per chi si è impegnato con generosità, abbiamo individuato e accompagnato le persone che avevano le qualità personali e vivevano l’ideale del sindacalismo cristiano. Gianluca D’Ettorre, presidente e Xavier Daniel, segretario cantonale, con Aldo Ragusa, segretario amministrativo, sono pronti ad assicurare continuità e rinnovamento.
Alla fine del suo intervento al Congresso ha detto: «Io ora mi dedicherò con passione ad altre gioie che cambiano la vita!». Quali sono?
Le gioie che cambiano la vita sono gli avvenimenti che succedono perché la vita sia felice. Come ha scritto Primo Levi ne «La chiave a stella», «L’amare il proprio lavoro costituisce la migliore approssimazione concreta della felicità sulla terra». Io mi godrò i nipotini Giovanni, Michele e Alice, che sono nati da poco e ci rendono grati della vita che continua. Anche il mio sindacato mi rimarrà nel cuore.
a cura di G.D.