Cari lavoratori cristiani, in prossimità della Pasqua, vi propongo una riflessione, prendendo spunto da una delle esperienze tipiche della mia generazione, che ha vissuto la propria giovinezza negli anni 70. Allora, eravamo tutti un po’ squattrinati, soprattutto noi studenti. 
Quando si desiderava andare da qualche parte, nessuno aveva l’auto, i mezzi pubblici erano quello che erano e allora ci si spostava facendo l’autostop. In autostop sono andato spesso all’università e ho girato un po’ anche l’Italia. Era un’abitudine di tutti i giovani di quell’epoca. In tanti facevamo l’autostop e, nonostante a volte rimanessimo molto tempo ad aspettare, quasi sempre però, arrivavamo a destinazione. Una volta mi è capitata una cosa insolita in un casello dell’autostrada a circa 100 chilometri da casa. Mentre facevo l’autostop, ho incontrato mio fratello che arrivava dalla parte opposta con lo stesso mezzo di trasporto, mi è venuto incontro e mi ha detto: «Tu hai per caso qualche soldo da prestarmi?». «Ed io gli ho detto la frase tipica di allora: «Non c’ ho na lira». Abbiamo sorriso tutti e due e poi proseguito per la nostra strada, lui verso casa e io verso l’università. Un’altra volta dal centro Italia dovevo andare a Brescia, era d’estate. Mi ero messo al casello di pomeriggio. Ho aspettato per ore e niente. Fino a che poi, si è fermato un camion. Il camionista un po’ impietosito mi fa: «Vuoi un passaggio?» «Certo, dove va?» gli faccio io e lui: «A Venezia». Mi son detto: «Intanto mi porto in su» e son salito. Sono arrivato a Venezia alle tre del mattino. L’ho girata a piedi come potevo, facendo lo slalom tra i capelloni che dormivano per strada.  Un’esperienza indimenticabile, di una bellezza straordinaria: Venezia di notte e all’alba. Poi, verso le 7 del mattino, mi sono rimesso in viaggio, ho trovato un altro passaggio e sono arrivato a Brescia.
Negli anni successivi, quando ho incominciato a lavorare e ho avuto la mia prima auto, ho restituito la cortesia ad altri giovani che mi chiedevano un passaggio.
Oggi, di autostoppisti non se ne vedono più, che peccato! Troppe comodità, troppa diffidenza, forse anche un po’ di paura, sono davvero cambiati i tempi. Per noi era un modo semplice, un po’ romantico, di vivere l’avventura, chiedendo un passaggio e poi dandolo. Si conosceva, così, tanta gente.
Perché vi ho narrato questa esperienza? Forse qualcuno lo ha già intuito, nel mio racconto c’è una parola chiave: passaggio. Infatti, la parola Pasqua, vuol dire proprio passaggio. Per gli ebrei, la festa di Pasqua è la memoria del passaggio del mar Rosso, attraverso il quale il popolo eletto è passato dalla schiavitù d’Egitto alla libertà della terra promessa. Per i cristiani, la memoria del passaggio dalla morte alla vita di nostro Signore Gesù Cristo, in virtù della sua risurrezione.
Arrivo allora alla mia riflessione, vi invito a chiedere un passaggio a nostro Signore. Ah, sia ben chiaro, non intendo un passaggio ad altra vita, ma un passaggio ad un’altra vita. Sì, la Pasqua è davvero per ciascuno di noi un’occasione unica per passare da una vita che ci pesa, che ci delude, che non ci soddisfa, a una vita piena, bella, ricca, nuova. Qualcuno potrebbe dire: «Ho provato tante volte, mi sono posto tanti obiettivi, ma non ci sono riuscito». Beh, forse proprio perché non hai chiesto un passaggio a Gesù. Fagli l’autostop, lui senz’altro si ferma. È lì sulla strada col suo bolide pieno di vita, pronto a portarti verso mete inaspettate, paesaggi meravigliosi, fidati. Altre volte è lui che ti chiede un passaggio. È presente nel volto della persona che ha bisogno di ascolto, di incoraggiamento, di fiducia, concediglieli. Dagli un passaggio verso un di più di vita.
A ciascuno di voi e alle vostre famiglie, porgo l’augurio - invito a fare simbolicamente l’autostop. Cercate il passaggio in una delle funzioni pasquali. Ci consentono di rivivere i momenti essenziali della passione, morte e risurrezione di Cristo e fare il pieno di speranza.
Buona Pasqua don Marco Dania