Il 1933 rappresenta un momento molto importante per la storia del nostro sindacato: riprende la pubblicazione de «il Lavoro» e viene aperta la nuova sede nel quartiere Maghetti, la Casa del Popolo. Cominciamo col giornale.

«Il Lavoro» appare all’inizio del 1920, qualche mese dopo la nascita dell’OCST, sostituendo la vecchia «Gazzetta del Lavoratore», che nella testata si definiva «Periodico della Lega Operaia cattolica, della Lega Agraria e organo del Segretariato cristiano-sociale, promuove gli interessi del popolo e specialmente dei contadini e degli operai»; recava anche la frase «Uno per tutti tutti per uno» ed era stata diretta da don Carlo Roggero. Il «nuovo Lavoro» viene diretto il primo anno da don Francesco Alberti, poi da don Pietro Berla e conta su un gruppetto di collaboratori come Nicola Locarnini, Giuseppe Cattori, don Giovanni Genucchi, Carlo Pometta, Francesco Masina, Alberto Totti ed altri. Ma il sindacato cristiano-sociale negli anni Venti fatica molto ad espandersi, fra il momento economico fragile, il quasi monopolio della Camera del Lavoro e delle sue federazioni, il disinteresse del Partito Conservatore e anche di una parte del mondo cattolico, quella più tradizionalista e conservatrice, e anche una crisi dirigenziale interna. «Il Lavoro» deve smettere la sua attività a partire dal 1927, per motivi finanziari ma in particolare perché il vescovo mons. Bacciarini vuole puntare sul «Giornale del Popolo» e invita l’associazionismo cattolico a sostenere il nuovo giornale della Curia. Per alcuni anni l’attività del sindacato cristiano-sociale può apparire sulle colonne della rivista cattolica «La Famiglia», ma la soluzione è nettamente insoddisfacente. Nel frattempo però era successo un fatto poi decisivo per porre fine alla crisi del sindacato: nel 1929 aveva cominciato la sua attività, come segretario cantonale, il giovane don Luigi Del-Pietro, che nel giro di pochi anni, malgrado la crisi economica, riesce a rilanciare il movimento. E così all’inizio del 1933 don Del-Pietro ottiene di far di nuovo pubblicare «il Lavoro», a cui dà un rinnovato e combattivo taglio, con un ristretto numero di nuovi e vecchi collaboratori. L’altra questione è legata alla sede del sindacato, che appena nato si era installato a Bellinzona, ma già a partire dal 1921 si era trasferito a Lugano, in una piccola sede in via Cattedrale 4. Se negli anni Venti questa possibilità poteva funzionare, con l’ingrandirsi e il potenziarsi delle attività legate al rilancio dei primi anni Trenta, una nuova e più vasta sede diventa necessaria. La soluzione viene trovata con l’affitto di una serie di locali e di un ristorante (il vecchio «ristorante Volta») in un’ala del grande fabbricato di vicolo Orfanatrofio-quartiere Maghetti: al pianterreno il ristorante, al primo piano vari uffici e un salone per riunioni, al secondo piano una decina di camere per gli alloggi. Nasce così il progetto della Casa del Popolo inaugurata il 20 ottobre 1933; l’indirizzo esatto risulta Piazza Indipendenza 7 e l’idea è quella di riunire sotto lo stesso tetto la sede del sindacato e un ritrovo popolare, il tutto con un preciso indirizzo cristiano-sociale. Non mancherà subito una polemica con gli ambienti socialisti, che vedevano come usurpata una denominazione (Casa del popolo) che sentivano come esclusivamente propria. I problemi di gestione, finanziari e anche di altro tipo non mancheranno certo, ma inizia così una nuova importante pagina della vita del sindacato, che durerà fino al 1971, con il trasferimento decisivo della sede in via Balestra 19.

Alberto Gandolla, storico OCST