Da una recente inchiesta condotta dall’UBS, emerge come gli aumenti salariali che verranno concessi dalle imprese svizzere per il prossimo anno non compenseranno completamente il rincaro che gli esperti stimano per il 2022 attorno al 2,9%.

Dato che gli adeguamenti per il 2022 sono stati solo dell’1,1%, per quest’anno le salariate e i salariati hanno subito una riduzione del salario reale dell’1,8%: la più forte riduzione degli ultimi 80 anni. Gli adeguamenti del 2,2% previsti per il 2023 non compenseranno la perdita del potere d’acqisto subita quest’anno.
«Il sindacato OCST - spiega Renato Ricciardi, Segretario cantonale - chiede di compensare integralmente il rincaro, che in questo momento è al 3% e tocca i beni di prima necessità, i servizi, l'energia e la salute. Le trattative nei diversi settori sono ancora in corso. Nell’industria metalmeccanica i negoziati per l'adeguamento al rincaro avvengono nelle singole aziende, mentre sono in corso le trattative con gli impresari costruttori».
«Dal punto di vista economico - continua - ci troviamo in una situazione molto particolare, perché assistiamo ad una crescita dei prezzi ma non dell’economia. Inoltre, come ben evidenzia lo studio UBS, le aziende non trovano la manodopera necessaria per la loro attività. Questo è abbastanza impressionante. Si tratta di una situazione nuova che dobbiamo affrontare in modo diverso rispetto al passato».
Infatti nel 2022, l’80% delle aziende svizzere è confrontato con problemi di reclutamento di personale. Nel 2016 solo il 17% delle aziende dichiarava di avere questo problema. Oggi questa carenza è diventata trasversale a tutti i settori economici e non riguarda più solo i posti di lavoro qualificati.
«Non tutte le aziende adegueranno integralmente i salari al rincaro. Questa compensazione parziale riduce il reddito disponibile delle lavoratrici e dei lavoratori, che, lo ricordiamo, sono anche consumatori. Facciamo inoltre notare che nonostante la produttività del lavoro negli ultimi anni sia cresciuta, questo non è stato riconosciuto a livello salariale o, magari, della durata del lavoro. Per contro noi chiediamo che si tenga conto di questo».
«In definitiva - illustra - la situazione è preoccupante perché i redditi delle famiglie non aumentano sufficientemente. Così perdiamo potere d’acquisto. La condizione per trovare una soluzione è il confronto aperto e serio con le aziende in cerca di vie alternative, per esempio ritoccando il tempo di lavoro. È un momento difficile per tutti».