Diventare genitori è una delle gioie più belle che si possa vivere. Una gioia immensa che riempie mamme e papà di affetto e passione, ma anche di responsabilità e impegni. Non tutte le coppie, però, riescono a diventare genitori biologicamente e quindi alcune scelgono di intraprendere un percorso diverso: quello dell’adozione.

Mamme e papà che arrivano all’adozione dopo periodi complicati e difficili, sia fisicamente che psicologicamente, dimostrano di amare i propri figli esattamente come li amano i genitori biologici.
Proprio come è successo a Martina che ha raccontato la sua storia a un quotidiano: «Ero felice, (…) finalmente ero una mamma con un bellissimo percorso di famiglia e amore».
Una testimonianza che esprime anche le difficoltà di intraprendere un percorso lungo e complicato. I primi giorni, le prime settimane e i primi mesi sono complicati per qualsiasi famiglia che per la prima volta accoglie in casa un bambino. Bisogna adeguarsi a una nuova situazione e ci vuole del tempo per farlo. È corretto che questo tempo, seppur ridotto, venga concesso anche a chi intraprende la delicata strada dell’adozione. Bisogna infatti guadagnare la fiducia del bambino, l’amore, e per questo c’è bisogno di tempo ma anche di stabilità, in particolare economica.
Ed è in questa direzione che va la richiesta di Giorgio Fonio, Fiorenzo Dadò e Maurizio Agustoni che, con l’iniziativa cantonale presentata nel 2019, hanno chiesto di parificare il periodo di protezione contro la disdetta del rapporto di lavoro, equiparando i diritti delle mamme adottive a quelli delle mamme biologiche. L’attuale legislazione, normata a livello federale, protegge le mamme biologiche contro la disdetta dal rapporto di lavoro per 16 settimane dopo il parto. Le mamme adottive, invece, non hanno nessuna protezione. Una richiesta quindi legittima. Consideriamo inoltre che stiamo parlando di pochissimi casi l’anno: le adozioni, infatti, sono veramente poche in tutta la Svizzera. Nel nostro Cantone sono state solamente 7 nel 2023. Ma per queste persone l’argomento è importantissimo.
Lo racconta ancora Martina: «Poi suona il telefono, rispondo, è la direttrice del personale della ditta dove lavoravo. Mi informa che sono stata licenziata, perché visto che da quel momento avevo dei figli, ero una mamma e secondo loro non potevo più lavorare come prima».
È giusto sottolineare che la maggior parte dei datori di lavoro sono corretti, comprensivi e disponibili, ma, come successo a Martina, non tutti lo sono. Pochissimi casi, quindi, ma che hanno un effetto importante. 
Una proposta che, per di più, non porterà ad avere alcun costo supplementare per nessuno, ma è una semplice parificazione delle condizioni delle mamme a favore delle loro famiglie.
L’intervista continua: «Dalla gioia più assoluta al sentirsi crollare il mondo addosso… ho chiesto il perché di questa decisione e la risposta è stata che dal momento che ora ero una mamma non avrei potuto garantire il lavoro di prima».
E ancora: «…Ero felice di poter tornare a lavorare perché tenevo al mio posto di lavoro…». Martina voleva solo avere una famiglia e al tempo stesso continuare a lavorare, coniugando carriera professionale e vita privata.
È quindi importante pensare a Martina e alle altre mamme che, oltre a doversi occupare dei propri figli, dovranno anche pensare alla propria situazione economica e a trovare un nuovo impiego, per l’unica «colpa» di aver voluto una famiglia.
Siamo soddisfatti che il Gran Consiglio, dopo lunga discussione, abbia approvato a maggioranza il rapporto di Amalia Mirante che proponeva di accettare la proposta di Fonio, Dadò e Agustoni. L’iniziativa ora dovrà superare lo scoglio delle Camere Federali. Il dibattito in aula è stato parecchio acceso, alcuni cercavano di sabotare l’iniziativa, con affermazioni come «le iniziative cantonali non servono a nulla», o tacciando la prosposta come anticostituzionale. Qualcuno ha addirittura sostenuto che le esigenze di una madre adottiva sono diverse da quelle di una madre biologica. Esigenze che, al contrario, sono uguali proprio perché uguali sono i compiti ai quali sono chiamate, così come uguali sono le esigenze dei bambini che entrano a far parte di queste famiglie.
Una decisione, quella del Gran Consiglio ticinese, che ci fa ben sperare in una sana discussione a livello federale che, ci auguriamo, possa portare alle mamme adottive il giusto riconoscimento.

Claudio Isabella

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