Nel 2024, forse ancor più di quanto avvenuto nei già impegnativi anni precedenti, si è sviluppato un intreccio di temi e di situazioni gravi e importanti, che hanno richiesto una grande intensità di attenzione e di investimento da parte dell’OCST-Docenti.

L’anno si è aperto con l’organizzazione della giornata di mobilitazione del 29 febbraio a Bellinzona. Grazie a questo sforzo imponente abbiamo ottenuto lo stralcio del contributo di solidarietà del 2%, accompagnato purtroppo dal mancato riconoscimento del carovita, sostituito con un’indennità forfettaria di 400 CHF e con 2 giorni supplementari di vacanza. Come sindacato abbiamo più volte pubblicamente denunciato l’inaccettabile confusione tra misure strutturali come il riconoscimento del carovita e provvedimenti che si pongono su un piano inferiore e concessi una tantum, indice di approssimazione e di scorrettezza.
In marzo l’OCST-Docenti ha partecipato al primo sondaggio a livello svizzero sulla soddisfazione del personale docente, organizzato da LCH in collaborazione con SER, maturando un’esperienza sulla cui base, oltre a potenziare ulteriormente i rapporti con le associazioni magistrali e sindacali della Svizzera interna, ha già sviluppato sondaggi propri che siano strumenti oggettivi e attendibili per conoscere la situazione per elaborare proposte e progetti d’azione.
Nel corso dell’anno il sindacato ha pure difeso vittoriosamente in votazione popolare le stesse misure di compensazione della riduzione del tasso di conversione delle rendite pensionistiche dell’IPCT che OCST aveva contribuito a individuare nella negoziazione avvenuta con il governo e con le altre forze sindacali nei mesi precedenti.
Inoltre l’OCST-Docenti sta partecipando sin dall’inizio con attenzione ai lavori del gruppo di accompagnamento della sperimentazione del superamento dei corsi A e B in tedesco e in matematica alle scuole medie che terminerà nella primavera del 2025, constatando alcuni limiti nel confronto tra i modelli da testare, originariamente diversi e alternativi, ma divenuti nel tempo sempre più simili tra loro e di difficile comparazione e valutazione. 
Nei due tavoli sindacali di marzo e di ottobre si sono affrontati con il DECS temi centrali nella vita professionale dei docenti che spaziano dalla richiesta di mantenere fede all’impegno di indagare il carico di lavoro e la gestione dei vari compiti alla questione della pausa meridiana dei docenti delle Scuole d’infanzia che ha condotto a una modifica del regolamento, passando dall’annoso problema dell’onere supplementare di lavoro richiesto nelle prime due settimane di scuola ai docenti impiegati a metà tempo nelle scuole elementari (su cui, oltre a una modifica del regolamento nel 2022, a un ricorso al Consiglio di Stato e a una mozione ancora pendente di Giorgio Fonio, ci si attende ora anche l’imminente pronunciamento del Tribunale cantonale amministrativo a cui abbiamo chiesto per lo meno il pagamento del tempo di lavoro supplementare da parte dei Municipi).
Inoltre abbiamo richiesto e ottenuto dal DECS un aggiornamento dei piani di evacuazione antincendio e antiaggressione, così come un potenziamento dell’informazione e della formazione dei docenti in tali ambiti, rivelatesi finora troppo spesso carenti e limitate alla sensibilizzazione delle direzioni scolastiche.
Si sono fatti passi avanti pure per quanto concerne la questione affrontata negli ultimi anni relativa alla proporzionalità tra il numero di ore settimanale bloccate per i picchetti per le supplenze e il grado di occupazione del docente, ottenendo l’impegno a vigilare.
Anche la dimensione della formazione continua è stata oggetto di confronto con il Dipartimento, l’OCST-Docenti ha infatti segnalato di aver notizia di difficoltà e limitazioni crescenti nell’ottenimento dell’autorizzazione ad accedere ai corsi in tempo di lavoro. In futuro si intende chiedere una procedura più agile sia per l’autorizzazione, sia per la corresponsione delle relative indennità, nonché si cercherà di evitare che il quantitativo minimo obbligatorio e il relativo credito di formazione vengano esauriti esclusivamente attraverso le attività stabilite dall’autorità scolastica.
Agli sforzi passati si aggiungono all’orizzonte le nubi del Preventivo 2025, in cui si propone di non riconoscere né - di nuovo - il pieno carovita, né gli incarichi ai supplenti dopo 16 settimane, modificando il regolamento delle supplenze a detrimento di chi si assume responsabilità importanti nell’insegnamento. Inoltre il messaggio governativo chiede di abolire i finanziamenti cantonali ai Comuni per i docenti di educazione fisica e di educazione musicale, alimentando disparità educative secondo la forza economica che contraddicono il principio delle pari opportunità formative (NdR: grazie a un emendamento in fase di votazione del Preventivo, i finanziamenti per i docenti di educazione fisica e musicale sono stati confermati e il Governo è stato costretto a fare marcia indietro).
Lo scarto tra il numero di abilitazioni all’insegnamento tenute dalla SUPSI-DFA e i posti di lavoro effettivamente offerti successivamente dal DECS è stato pure tematizzato con riferimento particolare ad alcune discipline in cui si sono create situazioni di disoccupazione o di sottoccupazione di neo-docenti rispetto a quanto prospettato loro prima che disdicessero i contratti lavorativi precedenti sulla base delle proiezioni del DFA e del DECS. Ovviamente sullo sfondo il discorso è collegato al reperimento più o meno agevole e riuscito di docenti qualificati nei vari settori scolastici e nelle diverse materie, dove la questione della disoccupazione di alcuni docenti neoabilitati cede il passo al problema opposto della carenza di insegnanti, come per il tedesco alle scuole medie. Sia il tema del rapporto tra DFA, DECS e reperimento di docenti idonei e qualificati, sia l’argomento successivo inerente alla sostenibilità delle varie mansioni dei docenti saranno approfonditi in futuro dal Dipartimento e seguiti con la massima attenzione dal sindacato. 
Infatti, siccome i sindacati non erano in settembre e non sono tutt’ora stati coinvolti in nessun gruppo di indagine sul carico di lavoro dei docenti e sulla gestione dei vari compiti, diversamente da quanto lasciato intendere nell’incontro con i vertici dipartimentali del giugno del 2023, l’OCST-Docenti ha deciso di effettuare a inizio anno scolastico un sondaggio articolato su vari aspetti del tema, a cui hanno partecipato più di 600 docenti di ogni ordine e grado.
Altro nodo su cui si sono chiesti lumi al DECS e su cui molti docenti si sono espressi nelle domande libere del sondaggio è quello dell’insegnamento agli allievi con bisogni educativi speciali. In particolare miriamo a conoscere precisamente il ruolo e i compiti del medico scolastico cantonale nella valutazione e nella ricezione dei certificati dei medici privati degli allievi e delle loro famiglie. Inoltre il sindacato intende chiarire i compiti e le competenze delle rispettive sezioni dell’insegnamento e della sezione della pedagogia speciale nella procedura di definizione dei provvedimenti didattici che i docenti devono successivamente attuare in aula. 
La tematica è ancor più rilevante oggi, quando, da alcuni documenti emanati direttamente o indirettamente dal DECS quali «Inclusione e accessibilità nel sistema scolastico ticinese», le diverse schede sulla pianificazione quadriennale della formazione continua dei docenti (in particolare quelle relative ai settori delle scuole obbligatorie e alla pedagogia speciale) e il messaggio governativo 8271 di risposta all’iniziativa parlamentare di M. Ermotti sull’«Oggettività, fondatezza e uguaglianza negli obiettivi formativi e nella valutazione» emerge un nuovo concetto di inclusione, tratto direttamente dal mondo sanitario, in cui si dichiara letteralmente che «nel campo dei bisogni educativi speciali (…) la visione medico-individuale è stata superata e sostituita da un approccio bio-psico-sociale (…) in cui la diagnosi medica è subordinata al concetto di funzionamento». Da cui discende e si afferma che «non è dunque la diagnosi medica a determinare il tipo di sostegno erogato, ma piuttosto il confronto del bisogno particolare dell’allievo con l’ambiente nel quale è inserito, che ne determina il funzionamento (…) a parità di bisogni particolari e a parità di diagnosi possono dunque esistere funzionamenti diversi e quindi interventi diversi». 
Con tale nuovo approccio e cambiamento di paradigma assume inevitabilmente un ruolo centrale l’ambiente in cui è inserito l’allievo con determinate caratteristiche, infatti, continuano i documenti, il cosiddetto contesto di apprendimento è «importante nel determinare il funzionamento e quindi l’esistenza o meno di un allievo con bisogni educativi particolari (BEP)». Il DECS prosegue affermando che «tanto più l’ambiente saprà essere privo di barriere e facilitatore al funzionamento, tanto meno la disabilità dell’allievo si esprimerà» e osserva che «mettendo al centro il funzionamento (…) l’interesse non è più posto unicamente sulle disabilità diagnosticate, sui disturbi specifici dell’apprendimento (…) ma porta a includere nel ragionamento (…) anche allievi con caratteristiche non definibili in una categoria diagnostica, bensì derivanti da una difficoltà di funzionamento o da uno svantaggio» concludendo poi che «questo cambiamento è di fatto in atto con successo nel nostro sistema scolastico».
Il minimo che un docente, ormai delineato come organizzatore di contesti per far funzionare gli allievi, si possa domandare davanti a tali dichiarazioni è: che cosa succederebbe se il contesto da lui preparato non sapesse essere privo di barriere e ne emergesse una disabilità dell’allievo? L’insegnante, la sua didattica e i temi da lui scelti sarebbero giudicati come non inclusivi? Non sarebbe ritenuto un bravo docente? E con quali conseguenze per la sua carriera e le sue condizioni di lavoro? Quali caratteristiche devono avere gli argomenti da insegnare, le modalità didattiche e lo stile del docente per essere in linea con la nuova inclusività? Forse non dovranno consentire l’emergere di disabilità o ne dovranno lasciar emergere il meno possibile, attestandosi sotto una soglia ideale di riferimento? 
Nella società liquida definita da Baumann si assisterà forse anche a una didattica liquida che consenta a tutti di funzionare e di trovare il proprio posto all’interno di profili disegnati a tavolino chissà da chi, dove, con quali criteri e con quali scopi? Profili, piani di studio e competenze didattiche che appaiono meno interessati alle parti del mondo e ai contenuti della realtà da presentare agli allievi, più indifferenti ai valori e ai principi di quanto non siano invece attenti a verificare che i ragazzi acquisiscano automatismi di pensiero, di azione e di comportamento per compiere compiti assegnati da altri e non scelti da loro. Forse non a caso nel piano quadriennale della formazione continua dei docenti delle scuole d’infanzia e elementare si afferma che «le neuroscienze (…) e gli studi sulla biologia dei processi mentali possono guadagnare più spazio negli studi pedagogici» (…) alla ricerca di «una didattica che conosca i meccanismi neuronali e che consideri le neuroscienze divenendo più vantaggiosa rispetto a quella tradizionale». Quasi si prospettasse un’educazione su tecniche subliminali che agiscono efficacemente e scientificamente anche prescindendo dai valori personali della persona, dalla sua conoscenza e consapevolezza di sé e della realtà, che tuttavia figurano essere ancora i fini dichiarati della scuola, così come l’imprevedibile capacità di decisione e di scelta che contraddistingue gli esseri umani liberi e in grado di interrogare se stessi e il mondo.
Questi e altri quesiti potranno essere discussi nella tavola rotonda dell’11 marzo intitolata «Il lavoro del docente tra cambiamenti, identità e attrattiva professionale» alla quale parteciperà con noi l’onorevole Marina Carobbio, il professore Fabio Camponovo e la filosofa Lina Bertola.

Gianluca D'Ettorre