La tavola rotonda dell'11 marzo 2025 organizzata dal sindacato OCST-Docenti e moderata da Sabina Zanini, giornalista RSI, è stata l’occasione per discutere di insegnamento a tutto tondo, partendo da una prospettiva filosofica fino a quella sindacale. In effetti il «mestiere» di maestro, come pochi altri, deve poter viaggiare al di là delle prospettive utilitaristiche che governano il mondo pur rimanendo nel mondo, compresa la necessità molto concreta di regolare le condizioni di lavoro.

La tavola rotonda è stata introdotta dall’intervento della Consigliera di Stato e direttrice del Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport, Marina Carobbio Guscetti. Nel suo intervento la Consigliera di Stato ha rimarcato il ruolo chiave dei docenti che «contribuiscono alla crescita dei giovani e sono in grado di farli appassionare al sapere e alla conoscenza affinché diventino cittadini consapevoli». Ha inoltre sottolineato come il loro ruolo non sia sufficientemente riconosciuto e valorizzato. Secondo la Consigliera di Stato la situazione finanziaria resta difficile, ma l’educazione e la scuola devono rimanere una priorità. Investire sull’educazione vuol dire investire sugli insegnanti e sulle condizioni di lavoro e salariali, ma anche aiutare i docenti che si trovano ad affrontare sempre più anche altri compiti. «È necessario pensare con tutti interventi per rafforzare la scuola», ha concluso.
Al suo intervento è seguito quello di Lina Bertola, filosofa, che ha segnalato nei docenti un indebolimento del sentimento di appartenenza e di intima adesione al proprio compito. E questo ha molto a che fare con la mancanza di progettualità e di libertà. I docenti sono oggi ingabbiati in programmi di studio molto dettagliati e continuamente valutati. Questo indebolisce la progettualità nella scuola che in realtà è sostituita dal progresso tecnologico. «Il docente finisce per valere meno dell’arredamento tecnico della sua classe», ha detto. 
Ma ad intaccare la radice stessa dell’esperienza di insegnamento sono due aspetti culturali. Il primo è che viviamo l’era delle post verità. L’essere maestri ha molto a che fare con la verità, vista come apertura, punto di riferimento del pensiero. E questo sia dal punto di vista epistemologico, nel senso che la verità è il fondamento della conoscenza, sia dal punto di vista etico, nel senso che il maestro si prende un impegno ad essere vero davanti ai suoi studenti. La conoscenza è un’esperienza, una domanda di senso.
In qualche modo il presupposto della verità che permetteva di coltivare il valore e la bellezza della conoscenza come fine a sé stessa è stato ingabbiato nelle maglie dell’utilitarismo e delle logiche di mercato, ed ecco il secondo elemento che va ad intaccare l’esperienza dell’insegnamento. Oggi pare sempre meno importante che i docenti aprano lo sguardo degli studenti alla conoscenza, quanto piuttosto che insegnino cose utili, competenze operative quindi, e che la qualità dell’insegnamento sia misurabile. «Dobbiamo tornare all’educazione e al senso dell’educarsi», ha concluso.
È seguito l’intervento di Fabio Camponovo, già docente e formatore di docenti, che è partito dall’interrogativo che la politica e la discussione pubblica pongono più di frequente: «Cosa fa la scuola per stare al passo con i tempi?». Questo quesito, che si declina in una serie di richieste alla scuola di risolvere problemi di natura molto diversa, dice molto sulla confusione rispetto al vero compito che la scuola dovrebbe assumersi. La scuola oggi fatica a essere un’istituzione al servizio della persona e della società. Non si riesce nemmeno ad accordarsi su cosa sia in realtà l’educazione e su cosa sia un insegnante.
Cosa ha contribuito a cambiare il profilo pedagogico della scuola? Dall’introduzione dei test promossi dall’OCSE, i famosi test Pisa, per misurare la qualità dell’insegnamento, è nata la scuola delle competenze. Una scuola cioè in cui il saper fare prevale sul sapere, l’agire prevale sul pensare. 
D’altra parte la diffusione delle tecnologie tende a contrapporre la velocità e la semplificazione offerte dal digitale alla lentezza e alla fatica dello studio.
Al docente, sempre più ingabbiato e misurato, vengono inoltre attribuiti compiti e responsabilità sempre più ampi. Paradossalmente, più si amplia l’impegno, più la scuola subisce la scure dei tagli di bilancio le cui conseguenze, invece, non vengono mai quantificate. Anche la formazione dei docenti dovrebbe essere poi a parere di Camponovo totalmente rivista.
Nel suo intervento Gianluca D’Ettorre, presidente del sindacato OCST-Docenti ha voluto sottolineare che alcune delle richieste che giungono al mondo della scuola arrivano dal Parlamento, altre invece direttamente dal Dipartimento. Rispetto a queste richieste, D’Ettorre ha sottolineato che negli ultimi anni gli insegnanti «stentano a navigare in un mare agitato di richieste» e che è necessario che queste siano chiare, coerenti e sostenibili dal punto di vista etico e dal punto di vista pratico. Un esempio è la differenziazione pedagogica insita nel concetto di scuola inclusiva, nella quale non è chiaro il confine tra una differenziazione limitata ai soli percorsi didattici e una differenziazione che invece modifica anche i traguardi formativi e di conseguenza i parametri di valutazione. Occorre chiarire quando e su quali basi l’eterogeneità degli allievi e altri aspetti giustificherebbero la modifica degli obiettivi, il che ha ricadute etiche e legali; nonché valutare l’effetto della preparazione di percorsi formativi personalizzati sul carico di lavoro dei docenti, diventato un problema. Per questo il sindacato OCST-Docenti ha richiesto al Dipartimento di affrontare la questione ragionando sulla possibilità di cambiare il coefficiente che trasforma le ore di insegnamento in tempo di lavoro oppure adattando il numero di allievi per classe, o allocando sgravi orari rapportati al numero di percorsi didattici personalizzati da effettuare. «Ci sono cose che generano domande alle quali vanno date delle risposte», ha concluso.
Dal pubblico è poi emersa la domanda di un’insegnante la quale ha sottolineato che i docenti chiedono di essere maggiormente ascoltati. Secondo la sua esperienza personale purtroppo troppo spesso le richieste non ricevono risposta dalle autorità competenti e le persone si sentono invisibili e lasciate sole. In altri casi si viene considerati problematici e le segnalazioni peggiorano le condizioni di chi segnala. Bisogna rivedere le procedure di ascolto.
Un altro intervento ha sottolineato come i docenti dovrebbero essere uniti e invece vengono spesso classificati in categorie anche se, in realtà, tutti i livelli di insegnamento hanno un’importanza equivalente.
I collegi docenti nelle sedi potrebbero essere un luogo di condivisione e di rivendicazione, come ha suggerito Camponovo, ma sono diventati riunioni amministrative nelle quali non si discutono i problemi e non si trovano soluzioni.
I giovani docenti, secondo Gianluca D’Ettorre, vivono una precarietà maggiore sia contrattuale che identitaria. «Sono preparati, ma anche ingabbiati, assorbiti da una sorta di ansia che li mette sulla stessa barca degli allievi. Il docente non ha più le risorse per guardarsi intorno e farsi delle domande. Sono costantemente alla rincorsa di una soddisfazione che non raggiungono».
C’è tanto da fare dunque, come ha sottolineato Davina Fitas in conclusione, e per questo il sindacato OCST-Docenti chiede l’impegno di tutte e di tutti. «Dobbiamo lottare perché il mondo della scuola sia un luogo di apprendimento e di confronto positivo e sia accogliente sia per i docenti che per gli allievi».