Lo scorso 20 agosto il management della nota azienda tedesca ha comunicato a tutto il personale che il sito produttivo presente in Ticino potrebbe chiudere entro il 31 marzo del prossimo anno.

Nelle comunicazioni, a cui OCST ha partecipato, l’azienda si è limitata a spiegare – peraltro in modo molto formale – esclusivamente i motivi di questa possibile decisione. 
A seguito della crescita della produzione di auto elettriche, sembra si stia sempre più riducendo la richiesta e lo sviluppo di motori a combustione, non lasciando intravvedere grandi possibilità nel medio e soprattutto lungo temine. Uno scenario complicato dal rafforzamento costante del franco e dal continuo incremento dei costi di produzione con conseguenze drammatiche su margini e redditività. 
Il personale è rimasto molto sorpreso dalla portata della notizia. Pur cosciente delle prospettive non del tutto confortanti del mondo automobilistico, non si sarebbe mai aspettato di dover fronteggiare una possibile chiusura. Negli anni sono cresciute le competenze della fabbrica, la flessibilità dei lavoratori, la predisposizione al cambiamento e la capacità generale a costruire diverse tipologie di prodotti: tutte caratteristiche che hanno alimentato certezze. Inoltre la solidità paventata da tutte le comunicazioni interne e il sempre sventolato senso di responsabilità e unione hanno cementato negli anni la convinzione che nulla di grave potesse mai capitare.
Fino al prossimo 17 settembre viene aperta una fase di consultazione in cui la direzione, senza aver fornito alcun tipo di spunto per lavorare su soluzioni alternative, sposta tutta la tensione sui collaboratori aspettandosi da loro proposte ed osservazioni. 
Il personale di Mubea, da noi incontrato, sfrutterà con grande dignità questa fase e certamente sfrutterà ogni margine per produrre ogni tipo di alternativa alla chiusura del sito e insiste su alcuni punti.

Perseverare nelle soluzioni alternative
Se non fosse ancora deciso nulla rispetto al destino della fabbrica di Bedano (le comunicazioni hanno parlato di possibile chiusura), il personale chiede di poter conoscere ogni eventuale margine di manovra per scongiurare la cessazione. Ad oggi – nonostante le diverse sollecitazioni poste – non sanno se ci sono (ed eventualmente quali) margini oggettivi su cui studiare strategie differenti. Ci sono per esempio possibilità concrete per valutare nuove soluzioni industriali? Ci sono ambiti dove poter agire per generare ulteriore efficienza? Ci sono indici su cui lavorare per migliorare le redditività dell’unità produttiva? 

Provare la via estrema del guadagno intermedio
Di fronte all’incapacità da parte del management di suggerire vie alternative, il personale, per difendere l’occupazione ed il futuro delle famiglie, propone un suggerimento: pensare alla diminuzione delle ore di lavoro (Guadagno Intermedio) impegnandosi a mantenere alti i livelli di efficienza e produttività. Sono disposti a lavorare tutti di meno abbattendo inevitabilmente i costi, aumentando la flessibilità e non disperdendo competenze e professionalità di alto livello (oggettivamente di difficile reperimento in altri paesi anche della zona euro). 

Dirsi le cose in modo chiaro e puntare al miglior piano sociale possibile
Se, come si sospetta, una decisione fosse già stata presa e non vi fossero quindi alternative né proponibili né accettabili, si chiede di non perdere ulteriore tempo, evitare inutili formalismi, dirsi chiaramente come stanno le cose e concentrarsi sullo studio di un piano sociale che sia il più equilibrato ed equo possibile.
È evidente che OCST si schiera a favore dell’occupazione. Pertanto, nell’assistere il personale coinvolto, spinge affinché l’azienda riconsideri la sua idea iniziale e valuti seriamente l’implementazione di soluzioni diverse.
Infine, che il settore dell’industria stia quanto meno attraversando un periodo di grande riflessione crediamo sia evidente non dagli episodi delle ultime settimane, ma purtroppo dal concatenarsi di eventi che ormai da diversi anni si stanno ripetendo. Al netto di casi eclatanti di crisi strutturali, gli esempi - anche di grossi gruppi internazionali - che per scelta strategica – quasi sempre per la maggior tutela dei loro margini di guadagno - decidono di abbandonare il Ticino sono sempre più numerosi. 
Questo evidenzia una graduale perdita di competitività del nostro territorio. Tuttavia crediamo che uno dei fattori su cui puntare per invertire la tendenza non sia diminuire i diritti dei lavoratori, né attaccare i contratti collettivi di lavoro e impoverirne i contenuti a beneficio di un liberismo senza regole. Al contrario, un paese che ha costruito il suo benessere sulla pace sociale, derivata anche dalla contrattazione tra le parti, incentiva la competitività e lo sviluppo continuo di competenze e professionalità, continuando a investire proprio sui contratti collettivi che, per fare solo un esempio dei tanti vantaggi, invece di fare scappare i talenti li attrae e in tanti casi li trattiene.

Paolo Coppi