Lo scorso 20 agosto, lavoratrici e lavoratori erano stati gelati dalla comunicazione di una possibile chiusura. Il periodo ipotetico era stato utilizzato dalla direzione stessa che aveva lasciato chiaramente intendere ci fossero margini per valutare alternative.
Mubea – lo ricordiamo – si dice confrontata con una crescita nel mercato della auto elettriche e ha visto ridursi negli ultimi anni lo sviluppo di nuovi motori a combustione con una conseguente riduzione di nuove possibilità commerciali. Per altro, secondo l’azienda, il volume produttivo negli ultimi anni si è ridotto drasticamente nel sito di Bedano e le previsioni economiche indicano un trend costantemente negativo. Inoltre, l’aumento del forte tasso di cambio del franco svizzero e gli elevati costi di produzione che ne derivano gravano sempre di più sull’impresa azzerando margini ed efficienza. A ciò si sono aggiunte le sfide economiche sul piano mondiale rappresentate dagli elevati costi energetici e dall’inflazione. Per tutte queste ragioni l’azienda, a chiusura della fase di consultazione, conferma la volontà di cessare le attività produttive di Bedano chiudendo ogni possibile trattativa su alternative organizzative o industriali.
L’11 settembre infatti, nel corso di diverse assemblee con il personale, è stato confermato che il CDA ha ritenuto di non poter prendere in considerazione le proposte presentate dai dipendenti. La giustificazione del loro diniego è che nessuna di queste è risolutiva delle difficoltà che affliggono la realtà produttiva e dunque nessuna è adeguata a evitare la chiusura dello stabilimento. Pertanto viene deliberata la cessazione della produzione per il 31 marzo 2025.
Poco meno di ottanta i dipendenti coinvolti, di cui circa sessanta nei reparti produttivi e poco meno di venti negli uffici. Secondo Mubea è già uno sforzo garantire alla maggior parte di essi la prosecuzione delle attività fino al 31 marzo del prossimo anno con la speranza che una decina di collaboratori, vista la situazione, riescano a trovare un’alternativa professionale entro la fine dell’anno evitando una decina di disdette.
Nel corso delle citate assemblee la direzione ha comunicato anche la disponibilità a concedere un piano sociale volontario e la disponibilità a finanziare un processo di collocamento attivo. Il grande sforzo dell’azienda – per il momento – ha portato a mettere sul piatto due mensilità per tutti, senza formulare differenze di alcun tipo, per esempio, legate al tempo di uscita o all’anzianità di servizio (in alcuni casi anche molto alta).
Inutile dire che i collaboratori sono rimasti tutti molto amareggiati dalle condizioni proposte. Visti i tanti sacrifici fatti per difendere, negli anni, il loro posto di lavoro, credevano di meritarsi una maggiore considerazione e non avrebbero pensato di dover «mendicare» un adeguamento della proposta aziendale. Il personale pertanto ha subito segnalato che due mensilità a titolo d’indennizzo, senza distinzioni, non sono sufficienti ad attenuare il disagio della chiusura aziendale. Pur sapendo che nulla è dovuto, il personale è persuaso che la fedeltà, gli sforzi e l’impegno profusi in questi anni fossero fattori determinanti ad una formulazione più equa del piano.
In attesa che la direzione riformuli la sua offerta rimangono aperte alcune domande molto specifiche e ancora più vivi alcuni dubbi di carattere più generale.
Tra le idee formulate dal personale c’era anche quella, estrema, di ridursi tutti l’orario di lavoro pur sapendo che non sarebbe stata una soluzione definitiva, ma aveva quanto meno il merito – in un regime di costi contenuti per l’impresa – di aumentare il tempo a disposizione dei lavoratori per costruirsi delle alternative professionali. Come mai una proposta simile non è stata in alcun modo presa in considerazione? Quali sono le motivazioni precise per cui la direzione l’ha scartata?
Da ultimo rimane il dubbio, concetto che andiamo ormai a ripetere da diverso tempo, sull’effettiva trasparenza e quindi anche utilità della fase di consultazione che, lo ricordiamo, al determinarsi di certe condizioni è obbligatoria per legge. Ci è sembrato ancora una volta che la decisione fosse già stata presa e che uno studio, probabilmente anche molto accurato, su cosa Mubea dovesse fare del sito di Bedano e in alternativa ad esso fosse pronto da diversi mesi. Ci chiediamo pertanto a cosa serva una fase di consultazione che per definizione dovrebbe essere un confronto attivo, ma che nei fatti evita completamente il livello di raffronto ed ignora la propria controparte, per altro uno stakeholder fondamentale come il proprio capitale umano. Mercoledì 25 settembre si è svolto un ulteriore incontro con la direzione di cui, per motivi redazionali, vi riferiremo nel prossimo numero.
Paolo Coppi