Tra le varie attività svolte nel corso della mia esistenza vi è stata anche quella del giornalista. Una professione esercitata soprattutto tra gli anni Ottanta e Novanta quale responsabile dell’informazione nazionale radiofonica accanto a professionisti, ancora attivi nonostante abbiano superato la cosiddetta età della pensione, quali Fazioli, Sofia, Tuor, Jelmini e molti altri che hanno calcato con successo la nostra scena mediatica.
 Quella del giornalista è indubbiamente una professione stimolante e affascinante. Una grande firma del Corriere della Sera del passato usava dire maliziosamente che fare il giornalista era sempre meglio che lavorare. E forse aveva anche un po’ di ragione per quelli come lui o tanti altri cui bastava mettere il foglio in macchina per scrivere articoli di grande qualità e spessore.
Per qualche collega di quelli citati le innate capacità e spesso la caparbietà hanno giocato, fatte le debite proporzioni, un ruolo importante che hanno fatto di loro firme conosciute e apprezzate. Per i più come me però si è trattato di un lavoro abbastanza impegnativo che si impara a fatica e a poco a poco, che richiede competenze, responsabilità, coinvolgimento, senso della notizia, capacità di analisi e, soprattutto curiosità. Ecco francamente non ricordo un bravo collega che non fosse un grande curioso, magari anche un po’ pettegolo. Per chi curioso non è consiglierei un’altra professione. Nel corso degli anni all’interno dell’azienda radiotelevisiva ho poi assunto altri compiti, anche a causa di attività accessorie che rendevano poco compatibile l’attività giornalistica al fronte. Ma di quegli anni e in tutti gli ambiti in cui sono successivamente stato attivo certe caratteristiche sono rimaste, in particolare appunto quella della curiosità. Certo non c’è bisogno di essere stato giornalista per essere curioso. Lo si può essere in tutti gli ambiti. Anche in famiglia: con i figli, i nipoti, che non mancano mai di sorprenderti, di incuriosirti. Curiosi in fondo lo si è tutti sin dall’infanzia, nell’adolescenza soprattutto e poi in età adulta fino alla vecchiaia.
In una serie di interessanti riflessioni sulla terza e quarta età raccolte in un libro dal titolo «La curiosità non invecchia» lo psicoanalista Massimo Ammaniti sostiene che il segreto per far sì che la vecchiaia non corrisponda al tetro stereotipo di periodo di sconforto, abulia e rassegnazione occorre non lasciarsi sopraffare da risentimenti e non ripiegare su se stessi, ma continuare a coltivare affetti, interessi e passioni, a rimanere soprattutto attenti e agganciati al presente e, perché no, a fare progetti magari condividendo in modo partecipe quelli dei figli e dei nipoti.
«La curiosità, ossia il desiderio di fare nuove esperienze e di ampliare le proprie conoscenze, scrive Ammaniti, «è un potente incentivo nella specie umana e può continuare a esercitare la sua forza anche quando si invecchia, come stimolo a tenere gli occhi aperti sul mondo e a non rinchiudersi nelle proprie abitudini e nei propri rituali». In questo senso la professione da me svolta in passato può essere di aiuto. Ma non è necessario essere informati e curiosi solo sui massimi sistemi, i grandi eventi della politica, dell’economia e sui cambiamenti dell’intera società per invecchiare bene. Ammaniti consiglia anche scelte più, diciamo, intimiste: basta mantenere il gusto della conoscenza e sapersi meravigliare degli insoliti colori di un tramonto, di un fiore che si schiude o di bambini, magari i tuoi nipoti, che ti sorridono.
 
Luigi Mattia Bernasconi