I 65 anni rappresentano una scadenza anagrafica importante per gli Svizzeri. Di regola per gli uomini coincide con il pensionamento. È a quell’età che si comincia a beneficia-re dei versamenti dell’AVS, l’Assicurazione Vecchiaia e Superstiti che, con le rendite della previdenza professionale e magari con qualche risparmio individuale, ti garantiscono entrate sufficienti per affrontare con una certa serenità, almeno da un punto di vista finanziario, la cosiddetta quiescenza.

 Se poi i mezzi non dovessero risultare sufficienti intervengono altre prestazioni come la complementare o altro. Certo si può andare in pensione anche prima di quell’età con le relative decurtazioni. Uno fa i suoi calcoli e se i suoi conti tornano preferisce comunque usufruire di questa possibilità che, è facile prevedere, in futuro sarà sempre meno data.

L’ età fatidica in ogni caso resta quella dei 65 anni. È un’età quasi simbolica che segna uno dei più importanti passaggi della vita di ognuno di noi. Il passaggio dalla vita professionale, con tutti i problemi che questa comporta in termini di vantaggi e di svantaggi, a quella di pensionato, improvvisamente diventato padrone del suo tempo senza più vincoli e condizionamenti. E in effetti per molti è una sorta di traguardo agognato, da tempo atteso, quasi una liberazione, perfino per certi versi indice di una ritrovata stabilità finanziaria in un mondo del lavoro sempre più precarizzato. Per altri invece può anche rappresentare una perdita di ruolo, di uno statuto non solo sociale di cui si è goduto e che ci si è conquistato nel corso di decenni con perdite di riferimento anche importanti. Personalmente non ho mai gradito troppo il termine di pensionato. Mi richiama un po’ il termine di nullafacente, poco utile alla società, quasi un peso. Quando invece sappiamo di molti pensionati particolarmente attivi: in consigli, associazioni, nel volontariato e soprattutto come nonni che accudiscono i nipoti di genitori costretti spesso entrambi a lavorare. Al termine pensionato preferisco quello più gentile di “beneficiario di rendite”, fa più chic, anche se le rendite possono risultare modeste, ma dà un senso di benessere sociale e, soprattutto, mentale. E poi ho scoperto che ci sono anche piccoli vantaggi pratici: paghi meno l’abbonamento al giornale, costa meno il biglietto di entrata alla partita, perfino quello per lo spettacolo del Circo Knie.

A partire dai 65 anni ricevi attenzioni anche da parte di altri: ad esempio dai comuni che ti invitano al pranzo degli anziani (non ci sono ancora andato), a manifestazioni particolari, ritrovi amici che ti inviano il panettoncino a Natale o la colombina a Pasqua.

Finora li avevo sempre vissuti come gesti graditi e di attenzione non ancora così rilevanti per la tua vita al momento ancora ricca di attività, di impegni, di interessi su quanto succede nella nostra società. Insomma, ho sempre apprezzato la condizione di un over 65 ancora socialmente presente e attivo e libero da particolari condizionamenti. Poi però dagli inizi di marzo tutto è cambiato. Sugli over 65 è calato il peso del Covid-19, il terribile virus che ha investito tutto il mondo e che non ha risparmiato anche il nostro cantone, il più colpito in Svizzera con centinaia di morti e migliaia di contagiati.

 Un virus risultato letale soprattutto per gli anziani con patologie pregresse. Proprio per questo sono state introdotte misure sia per limitare il contagio sia per proteggere in particolare la fascia di età maggiormente a rischio: appunto gli anziani. Misure soprattutto igieniche ma anche per un confinamento a casa con addirittura alcuni divieti proprio per gli over 65, in particolare quello di fare la spesa. È stato quest’ultimo un divieto vissuto da molti con una certa insofferenza, come una discriminazione, una sorta di oltraggio alla propria libertà. Ho seguito alla lettera le indicazioni delle nostre autorità che sono indubbiamente servite a contenere l’epidemia, ma l’impressione, con questo continuo richiamo agli over 65, è stata quella di essere, nello spazio di poche settimane, invecchiato di un decennio. Altro che persona attiva e mentalmente dinamica. Credo in ogni caso che, in un momento così drammatico con un virus che ci accompagnerà purtroppo ancora per diverso tempo fino alla scoperta di medicinali e del vaccino, lo sforzo che ci viene chiesto non sia nemmeno così grande. Fuori c’è un mondo in macerie con fallimenti, soppressione di posti di lavoro, disoccupati in crescita, perdite per una recessione che sarà durissima. I pensionati non hanno, per il momento, di questi pensieri. Le loro entrate non sono cambiate. Quindi pazienza; pensiamo alla nostra salute e proteggiamoci, noi stessi e gli altri, seguendo le raccomandazioni che sono state fatte. Poi, una volta sconfitta l’epidemia, non ritroveremo solo le nostre libertà, ma ci sembrerà di essere tutti un po’ ringiovaniti.

Luigi Mattia Bernasconi

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