L’OCST, firmataria del contratto collettivo per il settore vendita, è tra i promotori del referendum contro le modifiche alla Legge sulle aperture dei negozi. È un fatto che mi sembra doveroso chiarire dopo aver sentito negli ultimi giorni i sostenitori delle modifiche parlare velatamente di una nostra minor convinzione in questa votazione.

La decisione di introdurre un ampliamento degli orari di apertura è stata frettolosa e presa senza minimamente considerare le esigenze di chi il settore lo vive in prima persona: le lavoratrici e i lavoratori. I presupposti sui quali si basa questa modifica sono molto deboli, dal momento che non sono stati raccolti dati sul settore, in particolare rispetto all’effetto che la precedente modifica ha sortito, dal 2020, sul commercio ticinese. Sono anche deboli perché in contrasto con una legge federale che di per sé vieta l’impiego del personale la domenica per la vendita di prodotti che non siano di prima necessità.

Un altro aspetto che critichiamo con forza è che si sia aperta una discussione sull’ampliamento degli orari di apertura dei negozi proprio alla vigilia della scadenza del Contratto collettivo di lavoro. Ora i promotori della riforma si atteggiano a paladini del partenariato sociale, con Speziali che raccomanda con una lettera ai datori di lavoro del settore di sedersi al tavolo delle trattative. Ma quando? Dopo la votazione. Si rassicurano i votanti che ai datori di lavoro interessa garantire sufficienti diritti al personale, ma quando? Dopo la votazione. Sembra proprio una promessa da campagna di votazione, di quelle che evaporano con l’intensificarsi del caldo estivo previsto nella seconda metà di giugno. Se chi legge ha dunque la preoccupazione per le condizioni in cui opera il personale di vendita, respinga la riforma.

Il contratto collettivo per il personale di vendita è essenziale per il settore ed ha introdotto alcuni miglioramenti che sono importanti per le venditrici, come la norma per arginare la frammentazione dei tempi di lavoro. Tuttavia va rafforzato per gli aspetti salariali, ma non solo. Troppe lavoratrici e troppi lavoratori subiscono attualmente in condizioni di precarietà perché sono assunti con contratti ad ore e su chiamata, e spesso la pianificazione dei tempi di lavoro è carente e impedisce di fare programmi a lungo termine. Molte lavoratrici ad ore vorrebbero poter lavorare di più, ma il prolungamento degli orari di apertura non fornisce nessuna garanzia in questo senso. E poi c’è il tema della formazione. Si tratta di un’esigenza sentita sia dal personale, che vuole investire sulle proprie competenze a lungo termine, sia dai datori di lavoro.

Siamo dunque curiosi di vedere se esiste da parte dei datori di lavoro un genuino interesse per impegnarsi in una discussione concreta e aperta sulle condizioni di lavoro del personale, la stessa apertura che vorrebbero per i propri negozi, o se questo interesse tenderà a scadere dopo il 18 giugno.

Xavier Daniel, vice-segretario cantonale OCST