Le discussioni parlamentari e l’avvio della campagna elettorale hanno riportato al centro dell’attenzione la questione, sempre di attualità specialmente nel nostro Cantone, della Libera circolazione. Quando ci si forma un giudizio, in generale, si prendono in considerazione aspetti soggettivi, sui quali è possibile esprimere un’opinione, e aspetti oggettivi, che sono molto meno discutibili.
 E sulla libera circolazione delle persone numerosi dati, che appartengono alla sfera dell’oggettività, segnalano che questo regime ha avuto un impatto profondamente diverso sul mercato del lavoro del nostro Cantone, rispetto al resto del Paese. 
In Ticino esiste uno squilibrio sconosciuto oltre il san Gottardo e misurato dall’Osservatorio sulla libera circolazione delle persone della Seco nel suo rapporto di luglio: i frontalieri in Ticino sono il 27% degli occupati, un dato enormemente più alto rispetto alla media svizzera del 6%. Dalle ultime rilevazioni emerge inoltre che questi lavoratori soffrono di una disparità salariale spiegata, depurata cioè delle differenze di formazione, anzianità di servizio, settore e posizione professionale, dell’8%, contro solo il 4,5% nazionale.
L’evoluzione ancora positiva dell’occupazione nel secondo trimestre dell’anno (+ 6’900 persone occupate) è andata in modo più che proporzionale a beneficio dei frontalieri (+ 2’447). I frontalieri rappresentano infatti il 27% della forza lavoro, ma occupano il 35% dei nuovi posti di lavoro.  Questo accade in modo ancora più marcato nel settore terziario, nel quale i frontalieri hanno occupato il 46% dei nuovi posti di lavoro.
Ora se, da un lato, i frontalieri contribuiscono al buon andamento dell’economia e all’incremento del gettito fiscale, dall’altro, sono esposti al rischio di speculazione delle aziende meno virtuose che approfittano per pagarli meno. Il risultato è una maggiore precarietà e una pressione al ribasso di tutti i salari in un Cantone che ha già livelli retributivi inferiori rispetto al resto della Svizzera. Ricordo che in media i lavoratori ticinesi sono pagati il 14.5% in meno che nel resto della Svizzera e che questa condizione di sfavore si accentua persino per le professioni più qualificate raggiungendo, per esempio, il 21% nelle professioni legate alle attività amministrative e ai servizi di supporto.
L’enumerazione di questi dati non ha l’obiettivo di alimentare un facile vittimismo o un’inutile guerra tra poveri. È importante invece per elaborare politiche nella direzione di uno sviluppo più sano del nostro mercato del lavoro e della nostra economia. 
Mi duole ricordare che troppo spesso i datori di lavoro in Ticino escludono l’assunzione di manodopera residente, manifestando una presunta mancanza di competenze e preparazione. Ciò che però avviene nel resto della Svizzera è che i lavoratori frontalieri meglio formati sono pagati di più dei residenti. In Ticino, come detto, avviene esattamente il contrario. In mancanza di una cultura imprenditoriale responsabile che riconosca ai lavoratori, indipendentemente dalla provenienza, quanto dovuto, e di una forte coscienza dei propri diritti da parte dei lavoratori, è importante puntare su misure di sostegno dei salari e delle condizioni di lavoro che passano soprattutto dall’introduzione, sempre più capillare, dei contratti collettivi di lavoro. 
Non bastano dichiarazioni pre-elettorali per un generico impegno sulla protezione dei salari, da parte di qualcuno, e sono controproducenti gli interventi di chi, negando l’evidenza, sostiene che vada tutto bene. La nostra posizione geografica, le difficoltà in cui versa la vicina Italia, la struttura della nostra economia e una certa cultura imprenditoriale rendono necessaria una difesa forte tramite delle misure di accompagnamento alla libera circolazione delle persone attualmente in vigore, anzi, un loro rafforzamento.
Questa è la condizione necessaria per un sostegno alla libera circolazione da parte sindacale. Da parte di Travail.Suisse e di OCST la posizione è chiara: si chiedono misure di accompagnamento efficaci e se possibile il rafforzamento del quadro giuridico federale sui contratti collettivi di lavoro, principale strumento per indurre i datori di lavoro a sottoscrivere norme vincolanti.
 
Renato Ricciardi