La lunga storia di questo «nuovo» contratto collettivo di lavoro (CCL) per il settore della vendita ha inizio il 23 marzo del 2015 quando il Gran Consiglio approvò l’emendamento proposto da Lorenzo Jelmini e Gianni Guidicelli nel quale si vincolava la nuova legge di apertura dei negozi (LAN) alla presenza di un CCL nel settore. A partire da quel giorno tante parole sono scorse, tra prese di posizione, critiche e lodi, il CCL ha percorso una strada lunga e tortuosa che ha portato però lo scorso martedì 19 marzo al «sì» della Seco. Ne parliamo con Paolo Locatelli, vice segretario cantonale e responsabile del settore della vendita, che sin dagli inizi ha difeso a spada tratta la negoziazione di un nuovo CCL.
 
Il CCL della vendita sembra finalmente essere cosa fatta. Cosa ne pensi?
Esprimo grande soddisfazione. Siamo partiti con un emendamento OCST che abbinava «nuova legge negozi/CCL», siamo passati attraverso un voto referendario, abbiamo affinato un CCL di sostanza con lo scopo di renderlo obbligatorio in tutto il Cantone, abbiamo censito il settore con un minuzioso lavoro di ricerca, abbiamo convinto più della metà dei commercianti a firmare individualmente il CCL… e adesso siamo alle porte dell’introduzione di un CCL settoriale importante e di una nuova legge sulle aperture più vicina alle necessità del commercio.
 
È stata una strada lunga a tortuosa. Gli ostacoli però potrebbero non essere finiti...
È un buon diritto di chiunque fare opposizione contro questo decreto di obbligatorietà generale. Risulta però grottesco che tra i più attivi oppositori vi sia un sindacato che, invece di favorire l’introduzione di un nuovo CCL di categoria, si siede sul trespolo a gufare contro la sua introduzione. Ognuno è libero di fare ciò che ritiene più opportuno. Un altro aspetto è legato a quel sentimento dichiarato di mancanza di rispetto del voto popolare: abbiamo chiesto ai ticinesi «vi va bene il baratto nuova legge apertura negozi e CCL?» ed i ticinesi hanno chiaramente risposto di SI. Dire sempre no a tutto può anche rispondere ad una strategia sindacale, ma con questo «o fate tutto quello che noi diciamo oppure non se ne fa nulla» i problemi delle lavoratrici e dei lavoratori non saranno mai risolti. Scelte sindacali che posso anche a fatica comprendere ma certamente non condividere.
 
Tra le critiche mosse vi è quella dei salari troppo bassi, tralasciando il fatto che un CCL non comporta solo dei minimi salariali, ma anche altri miglioramenti.
Qualcuno usa frasi del tipo «istituzionalizzare il dumping salariale»: non sono per nulla d’accordo. Il personale non qualificato avrà un salario minimo di fr. 3’200 lordi per 13 mensilità corrispondenti a fr. 20,58 all’ora. Oggi, escludendo la grande distribuzione che ha dei salari minimi superiori ai fr. 4’000 lordi, tutti i piccoli negozi viaggiano con un contratto normale di lavoro (CNL) che prevede, per i non qualificati, circa fr. 3’000 lordi al mese senza tredicesima mensilità. Calcolatrice alla mano, moltissime lavoratrici e lavoratori avranno con l’eventuale introduzione del nuovo CCL un aumento nell’ordine di fr. 500 al mese. E non bisogna nemmeno dimenticare gli abusi salariali contro i quali combattiamo tutti i giorni e i salari che spesso vediamo nel settore.
Preciso inoltre che in un CCL si definiscono altri aspetti che sono determinanti per la qualità di vita del personale. Penso ad esempio alla soluzione concordata in merito all’impiego del personale durante il giorno. Senza il contratto collettivo di lavoro registriamo chiamate giornaliere di lavoratori per 3-4 volte in un giorno per coprire i picchi. Ciò comporta di fatto che il personale impiegato debba dedicare complessivamente 12 ore della giornata per lavorarne 8. Una pianificazione del lavoro particolarmente mortificante specie per chi ha un contratto a tempo parziale. Con il nuovo CCL chi ha un rapporto individuale di lavoro inferiore al 50% potrà essere chiamato solo una volta al giorno con un blocco di ore consecutive mentre tutti gli altri collaboratori con rapporti di lavoro superiori al 50% potranno essere chiamati solamente due volte (due blocchi con pausa intermedia).
 
Un’altra critica riguarda il «balletto delle cifre». Inizialmente si parlava di più di 2’000 negozi e 12’000 lavoratori mentre ora si è giunti a 1’000 negozi e 9’000 addetti. Come spiegare queste differenze?
Firmato il CCL nel giugno del 2016 dopo il voto referendario, i partner contrattuali si sono trovati davanti ad una grande difficoltà: non esisteva una statistica ufficiale e reale dei negozi attivi in Ticino. Abbiamo quindi preso come base di partenza una statistica vecchia (del 2008 aggiornata nel 2010) che indicava in Ticino la presenza di 2’200 negozi e 12’000 collaboratrici e collaboratori. Siamo partiti, scarpe da ginnastica ai piedi, a setacciare tutto il cantone Ticino per verificare se tutti i negozi fossero ancora attivi: dopo un lavoro di 2 anni abbiamo dovuto constatare che i punti vendita aperti si collocavano a poco più di 1’700 e occupavano complessivamente 9’000 lavoratrici e lavoratori. Una differenza che si giustifica con la crisi del commercio che ha falcidiato il settore negli ultimi 10 anni (turismo degli acquisti, e-commerce, fallimenti, chiusure a ripetizione, affitti esorbitanti).
Da questo numero censito (dato reale) abbiamo dovuto togliere, come pretende per Legge la ricerca dei quorum, oltre 500 negozi che non occupano personale ma «tirano avanti» con il titolare ed i propri familiari (persone non assoggettate al CCL) non riuscendo più a far quadrare i bilanci con personale salariato dipendente.
L’anno scorso, aggiungo, altra doccia fredda: la Seco ci dice che il Fox Town, sempre ai fini della ricerca legale dei quorum, doveva contare come un solo centro commerciale e non computare i 132 negozi effettivamente presenti in quel di Mendrisio. Conseguenza: i 131 negozi che si ritenevano attivi singolarmente spariscono dalla statistica ma non dal censimento dei negozi. Anche qua, calcolatrice alla mano, arriviamo a più di 1’000 negozi attivi e con personale occupato. Di questi, la metà ha sottoscritto il CCL nella forma individuale. Tra le tante critiche che vengono mosse sulla lunga procedura messa in atto da Federcommercio/Disti/OCST/SIC/SIT questa è quella che mi fa arrabbiare di più: ironizzare o peggio ancora sollevare dubbi a livello di utilitaristici giochi di prestigio per far quadrare le cifre. I partner contrattuali certificano la validità di tutto il lavoro svolto, l’autorità cantonale ha dato semaforo verde alla procedura e settimana scorsa anche la Seco di Berna ha confermato la solidità della procedura di decreto di obbligatorietà.
 
Verosimilmente se i ricorsi non verranno accettati e tutto filerà liscio, quando è prevista l’entrata in vigore del CCL?
Tirando ad indovinare, calcolando i tempi tecnici per l’evasione di eventuali ricorsi, possiamo ipotizzare l’entrata in vigore del CCL (e di riflesso della nuova Legge apertura negozi) tra giugno e settembre di quest’anno. 
 
Con il CCL entrerà immediatamente in vigore anche la nuova LAN. Pensi che questo prolungamento degli orari possa aiutare i commercianti?
Non è la panacea di tutti i mali. Chiusura alle 19.00 (invece delle 18.30) il lunedì, il martedì, il mercoledì ed il venerdì (giovedì sera invariato alle 21.00), il sabato si potrà chiudere alle 18.00 invece delle 17.00 e nei sei giorni ritenuti festivi ma non parificati alla domenica si potrà tenere aperto con un semplice annuncio. Come attualmente, vanno aggiunte le tre domeniche di regola autorizzate nel periodo pre-Natalizio. Ma fattore più importante è quello legato al fatto che con l’attuale Legge (datata 1968!) ogni anno si scriveva un libro telefonico di deroghe concordate: sinonimo evidente di come questa vecchia Legge fosse già da tempo stata superata dalla realtà del commercio e dalle esigenze della clientela e delle abitudini dettate dal mercato. In buona sostanza, quello che prevede la nuova LAN in larga parte era già praticato grazie alle numerose deroghe.
 
 
 
a cura di gad