Nel 2017 esce la pubblicazione della professoressa di economia ad Oxford e Cambridge Katherine Raworth "L’economia della ciambella".
Sette mosse per pensare come un economista del XXI secolo» dove espone in modo apertamente critico la propria lettura sul futuro dell’approccio economico delle nazioni basato sul PIL (Prodotto Interno Lordo). Il concetto di PIL moderno di cui si parla era stato sviluppato dall’economista e premio Nobel, Simon Kuznets negli Anni 30 del Novecento per il Congresso degli Stati Uniti ed era divenuto successivamente nel 1944, dopo gli Accordi di Bretton Woods, l’indice modello per misurare l’economia di un Paese. In realtà, malgrado il titolo del libro possa far sorridere, ciò di cui l’autrice parla nel saggio è estremamente serio: espone la necessità di cambiare, da parte di ognuno degli attori coinvolti nel processo economico, non solo con la pianificazione dell’accesso ma anche della distribuzione delle materie prime e delle risorse alimentari del nostro pianeta considerando i ritmi della natura e non quelli dettati dall’uomo che dall’inizio dell’era industriale ha iniziato a stravolgere. Mette in evidenza nel suo testo l’importanza di operare da subito con un modello che abbia una visione per il futuro tenendo conto del rispetto sociale, delle classi sociali non solo appartenenti al cosiddetto mondo evoluto, della tutela della biodiversità, del clima, del benessere generale in favore di un equilibrio virtuoso che abbracci l’intero pianeta Terra, i suoi abitanti, e la ricchezza da condividere in modo mirato.
Una parte del pianeta, come descritto dall’autrice, vive a scapito di un’altra parte estremamente povera ed esclusa, consuma in modo eccessivo, inquina, non ricicla a sufficienza le materie prime ormai sempre più rare e non ha un piano costruttivo per il futuro. Questa parte privilegiata opera per scelta sempre più in urgenza, quando ormai il contesto economico viziato dalla visione di una crescita obbligata, rende inevitabilmente più elitario l’accesso alle risorse.
La metafora usata dalla Raworth nella descrizione del PIL è un aereo disegnato su un diagramma in volo decollato nel dopoguerra del Novecento, tuttavia mai atterrato. Da una parte di questo diagramma i dati del PIL e dall’altro i dati del tempo in cui inserire i risultati ottenuti. E questi risultati, certamente esposti nei bilanci come un momento importante di valutazione sull’intero lavoro svolto per la collettività, sono visti positivamente solo se legati ad una crescita.
In questo tipo di grafici descrittivi, a cui ci si è ormai abituati, sembra quasi di poter giustificare il fatto che in realtà Walt Whitman Rostow, storico dell’economia ed economista statunitense, autore del volume pubblicato nel 1960 «Gli stadi dello sviluppo economico», e consulente nel dopoguerra per la sicurezza delle amministrazioni Kennedy e Johnson, non volesse tematizzare che, prima o poi, l’intero approccio avrebbe dovuto vedere un cambiamento e fare finalmente atterrare l’aereo inserito nel diagramma della crescita del PIL. Whitman è considerato il principale ideatore della Teoria degli stadi dello sviluppo economico dove il processo di crescita e modernizzazione dei Paesi si riconduce alle seguenti 5 fasi:
1. Società tradizionale;
2. Precondizioni per il decollo industriale;
3. Decollo industriale;
4. Maturità dell’economia;
5. Società dei consumi di massa.
Ed è qui che entra in discussione la Raworth con il suo lavoro. L’obiettivo di far crescere il PIL da tempo non costituisce il parametro più significativo su cui operare i propri obiettivi economici. Da anni si parla della necessità di valutare il benessere di una nazione con altri elementi dove la felicità collettiva, l’istruzione, la salute, la longevità vengano al primo posto. E come la stessa autrice dice: «Un’economia sana dovrebbe essere impostata per prosperare, non crescere».
Il modello a cui si ispira la Raworth ricorda visualmente una ciambella. In questa analisi spiega come «far uscire dal buco», vale a dire far uscire dal centro della ciambella che rappresenta l’inadeguatezza di molti Paesi di accedere a elementi essenziali per la vita, creando al contrario economie rigenerative e distributive nel rispetto dell’ecologia del pianeta.
Le sette mosse proposte dalla Raworth
Primo - Cambiare obiettivo
Non misurare più il proprio progresso misurando il PIL come ha fatto l’economia per 70 anni. Il suo utilizzo quale parametro di valutazione ha giustificato l’esistenza di disuguaglianze importanti nel reddito e nella ricchezza associate ad un degrado del pianeta mai visto prima. Di estrema importanza invece rispettare i diritti umani di ognuno sempre nel limite del rispetto del pianeta. La sfida che si pone ora è creare economie da locali a globali che portino l’umanità nello spazio sicuro ed equo illustrato nel modello ciambella. Ciò a cui si mira è trovare un modo diverso di prosperare in equilibrio senza puntare ad un continuo crescere del PIL.
Secondo – Vedere l’immagine nel suo insieme
L’economia tradizionale inserisce in un solo diagramma il flusso circolare del reddito. Le sue limitazioni sono state usate per giustificare la visione neoliberista sulla efficienza del mercato e le altre parti coinvolte. Si deve ridisegnare l’economia integrandola nella società e nella natura, usando l’energia solare come fonte energetica primaria. Una nuova immagine influenza nuove idee relative al mercato, allo Stato ed alla sua partecipazione, al ruolo della famiglia e all’uso creativo dei beni comuni.
Terzo – Coltivare la natura umana
Il modello economico del XX secolo descrive l’individuo come razionale, egoista, calcolatore, isolato, con gusti stabili, consumatore che domina la natura a proprio vantaggio.
Questa idea ci ha plasmati ma l’essere umano è molto più di questo insieme ormai superato. L’essere umano è sociale, interdipendente, vicino al prossimo, fluido nei valori e dipendente dal mondo in cui vive e che vive. Coltivare la natura umana ed il suo potenziale potrà portare al conseguimento dello spazio sicuro ed equo descritto nel modello ciambella.
Quarto – Acquisire la comprensione dei sistemi
I modelli studiati in economia sono ormai superati. Vedi i rifornimenti del mercato e delle curve della domanda, un concetto analitico basato su modelli del XIX secolo. Passare invece al modello sistemico è un punto di partenza interessante per valutare la dinamicità dell’economia. Porre infatti al centro la dinamica dell’economia consente di valutare con sguardo più limpido le contrazioni ed espansioni dei mercati finanziari, la diseguaglianza economica, i punti di non ritorno dei cambiamenti del clima. Si deve iniziare effettivamente a gestire l’economia come un sistema complesso in costante evoluzione.
Quinto – Progettare per distribuire
Secondo la curva di Kuznets, nel XX secolo, si arriva ad osservare che «deve andare peggio prima di andare meglio» e la crescita migliorerà la situazione. Si scoprirà però che la disuguaglianza non è una necessità economica ma un errore di progettazione. Gli economisti riconoscono che ci sono molti modi diversi fra loro per rendere le economie più distributive rispetto al valore che viene creato. Ovvero come una rete di flussi, si crea una ridistribuzione dei redditi e della ricchezza quale quella posta nel possesso di terreni, imprese, tecnologie, conoscenze e nel potere stesso di creare del denaro.
Sesto – Creare per rigenerare
La teoria economica ha considerato come bene di lusso esclusivo un ambiente pulito, per soli benestanti. Concetto rafforzato dalla Curva ambientale di Kuznets che affermava che prima di migliorare e portare miglioramento economico l’inquinamento sarebbe peggiorato. In realtà non è assolutamente vero che ci sia una tale legge: il degrado ecologico viene prodotto attraverso una progettazione industriale degenerativa. Abbiamo invece bisogno di implementare un pensiero economico per favorire la progettazione generativa ed arrivare ad avere un’economia circolare, non lineare. Si potrà in questo modo restituire all’uomo la partecipazione ai processi ciclici della vita sulla Terra.
Settimo – Essere agnostici in merito alla crescita
L’economia tradizionale vede la crescita infinita del PIL come qualcosa di obbligato. In realtà nulla in natura cresce all’infinito, per sempre. È una questione che si pongono Paesi con alto reddito ma bassa crescita. Probabilmente abbandonare il PIL come il principale parametro di riferimento non è così difficile ma la dipendenza che si è creata lo potrebbe rendere tale. Attualmente si punta su economie che crescono anche se non prosperano. L’obiettivo da raggiungere invece è poter prosperare indipendentemente dalla crescita economica. Sarà importante cambiare punto di vista e vedere in quale modo le economie che oggi dipendono finanziariamente, politicamente e socialmente dalla crescita riescano a farlo rinunciando al PIL.
Questi sette punti sono una visione né limitata né impositiva su un insieme di elementi che concorrono per il nostro benessere attuale quale umanità e sulla progettazione del nostro futuro nel pieno rispetto del nostro pianeta. Sono uno sguardo consapevole e necessario per un cambiamento costruttivo comune dove l’economia rigenerativa e l’economia distributiva siano i principi base.
In conclusione, come già detto dalla Raworth, l’economia, che non deve essere lineare ma circolare, è uno dei numerosi elementi che concorrono al benessere del nostro vivere quali abitanti consapevoli di un pianeta e dei suoi ritmi al quale dobbiamo non solo la vita ma anche un profondo rispetto.
Manuela Balanzin
«L’economia della ciambella. Sette mosse per pensare come un economista del XXI secolo», Kate Raworth, Edizioni Ambiente, Milano, 2017.Traduzione di Erminio Cella.
Titolo originale: «Doughnut Economics. Seven ways to think like a 21st century economist».