Due argomenti, che per molti aspetti sono collegati, hanno monopolizzato la discussione nella seconda metà dello scorso anno: il salario minimo e l’innovazione tecnologica. Sono entrambe questioni sulle quali il sindacato OCST desidera proporre la sua riflessione in modo costruttivo, allontanandosi dalle polemiche e dagli allarmismi.
Salario minimo e salario economico
L’OCST ha più volte sottolineato che il salario minimo è uno strumento importante, che tuttavia non esaurisce la necessità di regolazione del mercato del lavoro, specialmente il nostro, sottoposto a sollecitazioni rilevanti, dovute in parte alla sua posizione geografica e in parte alla struttura della sua economia. Secondo il nostro sindacato la regolazione del mercato del lavoro ha bisogno di buone leggi, ma si realizza soprattutto nella contrattazione tra le parti sociali, che è il modo migliore per attivare un confronto paritario tra lavoratori e datori di lavoro, necessario alla salute e allo sviluppo dell’impresa. Per questo l’OCST ha indicato come valore di riferimento per un salario sociale che abbia come fine di contenere i working poor, analogamente a quanto previsto nei cantoni di Neuchâtel e Giura, il salario di Fr. 20,35 all’ora, corrispondente all’importo delle prestazioni complementari dell’AVS/AI.
La contrattazione collettiva, che emerge dal confronto tra le parti sociali, può innanzitutto regolare il salario definito economico, superiore a quello sociale. Se infatti è giusto stabilire un minimo al di sotto del quale non è lecito andare, anche per non riversare sulla collettività i costi derivanti dalla speculazione di taluni imprenditori e manager, non si può ridurre il salario a mero strumento di sopravvivenza. Il salario riflette le competenze e l’esperienza di chi lavora, i sacrifici richiesti, lo sforzo fisico e mentale, le responsabilità, tutti i fattori che concorrono a definire il valore che un lavoratore apporta all’impresa. Questi aspetti non possono essere stabiliti in una legge, come ha ricordato il Tribunale federale nella recente sentenza su questo tema, ma in parte emergono nell’ambito di una trattativa tra le parti sociali all’interno di un’azienda o con i rappresentanti di una professione.
L’impegno per la contrattazione porta valore all’impresa e alla società
Troppi imprenditori temono e rifiutano la contrattazione collettiva. La tesi è che sia una perdita di tempo e che sia più proficuo il dialogo diretto tra lavoratori e datori di lavoro. Tuttavia, non vi è chi non veda che i rapporti di forza tra le due parti non sono equilibrati, a meno che i lavoratori non vengano coinvolti collettivamente e supportati dai sindacati.
La partecipazione dei lavoratori alla vita dell’impresa migliora il clima di lavoro, aumenta la motivazione e pone delle regole comuni che valorizzano in modo costruttivo le relazioni e gli scambi, oltre che, naturalmente, assicurare un’applicazione uniforme e trasparente delle condizioni di lavoro.
La contrattazione collettiva ha anche il pregio di valorizzare il ruolo dell’impresa rispetto alle aziende dello stesso settore, limitando la concorrenza sleale, e rispetto alla società, verso la quale si prende impegni precisi.
Il contratto collettivo nell’impresa del futuro
L’innovazione tecnologica e la digitalizzazione pongono nuove questioni alle quali lavoratori e datori di lavoro devono rispondere. La deregolamentazione selvaggia e l’incertezza, travestita da fluidità e libertà, che per molti plasmeranno il futuro del mercato del lavoro, non sono la risposta alle nuove esigenze e sono estremamente nocive all’equilibrio del mercato del lavoro e della società. L’OCST si oppone alle richieste insistenti delle associazioni industriali per una maggiore deregolamentazione: l’aumento della durata settimanale del lavoro, la flessibilità sulle ore supplementari, spesso senza alcuna compensazione, oltre a non rispettare le norme contrattuali, sono pericolosi per la salute dei lavoratori.
Dalle previsioni sulla digitalizzazione dell’economia si stima un aumento delle professioni altamente qualificate. Tuttavia la concorrenza tra i lavoratori è tale che anche i professionisti molto formati sono sempre più soggetti allo sfruttamento, sia dal punto di vista salariale, che da quello delle condizioni di lavoro.
Nuove opportunità si affacciano all’orizzonte ma anche nuovi rischi si fanno sempre più concreti: le richieste di essere sempre disponibili e attivi sui vari canali di comunicazione, gli orari di lavoro irregolari e prolungati, gli straordinari pretesi, i problemi che nascono nelle imprese attive a livello internazionale. Non si possono ignorare le istanze che emergono.
Il conseguente adeguamento dell’apparato legislativo alle nuove esigenze non può allinearsi con lo stesso passo i cambiamenti repentini imposti oggi all’economia. Solo il dialogo sociale può rispondere con prontezza e dinamismo alle nuove sfide.
Un preciso impegno per la formazione
I cambiamenti epocali a cui stiamo assistendo per molti aspetti ripropongono uno schema già visto: il lavoro dell’uomo in parte sostituito, certamente facilitato dalla tecnologia. Sul lungo termine l’aumento di produttività non crea necessariamente una riduzione del lavoro: la necessità di realizzarsi tramite il lavoro genera nuove forme di impegno, nuove opportunità, nuovi prodotti, nuovi bisogni.
Nel breve termine tuttavia una parte dei lavoratori perde il proprio impiego e non è più in grado di rientrare nel mercato del lavoro. Non è un fenomeno nuovo, il problema si poneva già a metà degli anni ’30 del secolo scorso con l’introduzione delle pale meccaniche. Cosa ne è dei 60 manovali, poco qualificati, che perdono il lavoro per l’introduzione di una scavatrice? Sono sacrificabili sull’altare del progresso? La questione si ripropone oggi con lo stesso schema.
Per l’OCST è necessario trovare una via che consenta a queste persone di essere reintegrate nel mondo del lavoro. La via principale è la formazione sulla quale investire in maniera mirata per tutta la carriera lavorativa e sulla quale impegnarsi intensamente nelle fasi di transizione per reperire nuove opportunità effettivamente accessibili e adeguate alla propria situazione formativa ed esperienziale. Una buona formazione continua può evitare licenziamenti ed esclusione dal mercato del lavoro.
Di cosa non potremo fare a meno nel futuro? Alcuni esperti segnalano come competenze chiave la capacità di lavorare in gruppo, le lingue e la comunicazione ed, evidentemente, l’informatica.
Renato Ricciardi
Impegni per il 2018
Disoccupazione
Nel 2016 il Fondo di compensazione dell’Assicurazione contro la disoccupazione ha chiuso l’esercizio con un’eccedenza di 156 milioni di franchi. Di questa 100 milioni sono stati versati per ripagare il debito con la Confederazione che ammonta attualmente a 2,5 miliardi di franchi. Secondo le previsioni, anche per il 2017 sarà possibile un rimborso di 300 milioni di franchi portando il debito a 2.2 miliardi. Tenendo conto che solo sette anni fa il debito con la Confederazione ammontava a 7,6 miliardi di franchi, si avvicina il momento in cui sarà estinto. L’OCST chiede nuovamente che, nella Legge sull’Assicurazione disoccupazione, vengano riviste le forti penalizzazioni nei confronti dei giovani che, più dei lavoratori in altre fasce d’età, faticano ad accedere al mercato del lavoro.
Difficile anche la situazione dei lavoratori anziani, in particolare di coloro che hanno superato i cinquant’anni. In un quadro di forte evoluzione tecnologica come quello attuale, nel quale l’esperienza non riesce a compensare le carenze nell’uso dei nuovi strumenti, sono proprio i lavoratori anziani a soffrire maggiormente.
L’OCST si batterà per l’introduzione di misure di sostegno a livello cantonale, che favoriscano il collocamento dei lavoratori in queste fasce d’età.
Formazione continua
La formazione continua dei lavoratori va sostenuta per tutta la carriera lavorativa sia dal punto di vista organizzativo che finanziario. Ciò al fine di evitare che una parte dei lavoratori venga esclusa dal mercato del lavoro perché non dispone più di competenze adeguate ai tempi e ai nuovi strumenti. È una precisa responsabilità delle aziende di far fronte a questa necessità. Imprese e associazioni di categoria, anche con la collaborazione del sindacato, devono impegnarsi su questo fronte investendo fondi, energie e competenze per questo importante obiettivo. Il sindacato OCST metterà a tema questa preoccupazione nelle comunità contrattuali alle quali appartiene.
Salute sul posto di lavoro
L’articolo 328 del Codice delle obbligazioni prevede l’obbligo per il datore di lavoro di tutelare la salute e la personalità dei suoi dipendenti.
Se in passato l’emergenza era quella di limitare il numero di infortuni professionali, ora sembra essersi aggravato molto il rischio di danni psicologici. Prova ne è che, secondo i dati di dicembre del 2016, tra i beneficiari di rendite AI, più del 46% soffre di malattie psichiche (nel 2012 il 43.5%).
L’aumento della pressione e dello stress sul posto di lavoro, oltre che un mercato del lavoro molto competitivo, sono condizioni che facilitano l’insorgere di queste patologie in tutti i settori e in tutte le aziende. Tuttavia in certi casi queste condizioni vengono esasperate come metodo di gestione del personale, per ottenere un presunto aumento della produttività: condizioni ostili e competitività portate all’estremo, assegnazione di obiettivi sempre più ambiziosi e pratiche umilianti sono alcune delle condizioni che segnano in maniera indelebile la psiche dei lavoratori generando un aumento di problemi di salute anche nel settore terziario.
L’OCST si impegnerà per la prevenzione di situazioni di rischio e per la denuncia degli abusi in questo ambito.
Parità
Quello della parità è un tema complesso che richiede un intervento deciso. Le donne, sempre più partecipi nel mercato del lavoro, subiscono la disparità salariale e abbandonano precocemente il lavoro a causa delle grandi difficoltà nel gestire le esigenze della famiglia e quelle lavorative. D’altra parte i padri che desiderano partecipare maggiormente agli impegni familiari vengono ostacolati nella richiesta di tempi parziali.
La disparità salariale nel corso della vita lavorativa, oltre che esporre le donne ad un maggiore rischio di povertà, ha conseguenze molto serie al momento della pensione.
L’OCST ha più volte evidenziato la necessità di sostenere maggiormente i genitori nella cura dei figli.
Per questo si impegnerà per l’introduzione di misure, specifiche per le diverse professioni, che agevolino il rientro al lavoro consentendo alle madri e ai padri di poter far fronte alle esigenze dei figli e contemporaneamente di restare attivi professionalmente: prolungamento del congedo maternità e paternità, congedi non pagati, tempo di lavoro che viene aumentato gradualmente nel primo anno, corsi di formazione, un migliore finanziamento e un aumento delle strutture di accoglienza, una maggiore flessibilità sul posto di lavoro. L’OCST inoltre denuncia i casi sempre più frequenti di licenziamento al termine del periodo di protezione della maternità: è necessario un monitoraggio di questo fenomeno e un cambiamento di mentalità da parte di molti datori di lavoro.
Flessibilità e gestione del tempo
La flessibilità è un’esigenza sempre più importante sia per i lavoratori che per i datori di lavoro. Da una parte i lavoratori si destreggiano tra gli impegni lavorativi, magari per più di un datore di lavoro, e quelli privati (figli, parenti bisognosi, attività sportive e di volontariato…); dall’altra i carichi di lavoro fluttuano notevolmente nel corso della giornata, della settimana e dell’anno. L’impegno dell’OCST è che queste esigenze vengano allineate in maniera proficua per entrambe le parti con il fine di scongiurare la precarietà e lo sfruttamento. Se questo è difficile all’interno di una singola azienda, magari per le dimensioni ridotte, la soluzione può essere ricercata nella collaborazione interaziendale.
Premi assicurazione malattia
Dall’introduzione nel 1996 dell’Assicurazione malattia obbligatoria i premi di cassa malati sono aumentati del 170%, i salari del 20%. In questo periodo è quindi notevolmente aumentata la quota di reddito che si dedica al pagamento del premio di assicurazione malattia.
I premi di cassa malati non sono considerati nell’indice nazionale dei prezzi al consumo perché sono trasferimenti verso gli assicuratori che tornano a chi li ha pagati in caso di malattia, tuttavia è evidente che sono un’ingente spesa fissa a cui bisogna far fronte, tanto che sono in discussione proposte di limitarne l’entità ad una quota fissa del reddito. Inoltre il 6.4 per cento della popolazione vive in un’economia domestica con almeno un arretrato sui premi di cassa malati.
Per questo motivo l’OCST chiederà che i salari vengano adeguati al rincaro non solo facendo riferimento all’indice dei prezzi al consumo, ma anche tenendo conto, in proporzione, degli aumenti dei premi di cassa malati.