I frontalieri contribuiscono attualmente all’assicurazione contro la disoccupazione in Svizzera con i contributi mensili esattamente come i lavoratori residenti. Prima del 2012 una parte dei contributi versati all’Assicurazione disoccupazione da parte dei lavoratori frontalieri veniva riversata all’Italia e questi fondi contribuivano a finanziare per questi lavoratori indennità pari alla metà del loro salario.
Dopo il 2012 le cose sono cambiate. Attualmente, secondo l’art. 65 del Regolamento europeo 883 del 2004, i Paesi di residenza dei frontalieri, per esempio l’Italia, versano loro la disoccupazione e poi chiedono ai Paesi nei quali si svolge l’attività lavorativa, per esempio la Svizzera, il rimborso di 3 mesi di indennità calcolate secondo i parametri del Paese di residenza, se il disoccupato ha lavorato meno di un anno, 5, se ha lavorato più di un anno.
Secondo quanto deciso ieri a Bruxelles, la Svizzera sarebbe chiamata a versare le indennità di disoccupazione direttamente ai lavoratori frontalieri, i quali sarebbero sottoposti alle stesse condizioni dei lavoratori residenti per esempio rispetto alle ricerche di lavoro. La decisione di modificare questo Regolamento europeo deve passare per l’approvazione formale del Parlamento europeo; la Svizzera sarà poi chiamata ad un tavolo di discussione. L’entrata in vigore di questa misura non è quindi imminente.
È comunque chiaro che questa decisione se verrà applicata influenzerà i conti dell’Assicurazione disoccupazione alla quale bisogna tuttavia riconoscere che per molti anni i lavoratori frontalieri hanno contribuito ricevendo poco in cambio. Inoltre in questo modo l’Assicurazione disoccupazione si allinea a quanto accade per le altre assicurazioni sociali (invalidità, infortuni, AVS…) per le quali i contributi vengono pagati in Svizzera, come le indennità.
Del resto, il fatto poi che per molti anni i lavoratori frontalieri abbiano ricevuto una disoccupazione molto inferiore rispetto al loro stipendio ha alimentato ancora maggiormente il dumping salariale, invitandoli ad accettare condizioni indecenti pur di non perdere il posto di lavoro.
Due sono le preoccupazioni dell’OCST: questo accordo di fatto renderà ancora più debole, ai fini della protezione della manodopera residente, la misura di annuncio obbligatorio dei posti di lavoro vacanti agli Urc. Ciò mette in luce ancora una volta, come la protezione del mercato del lavoro si giochi innanzitutto sull’incentivazione della responsabilità sociale delle imprese che operano sul nostro territorio, rispetto ai livelli salariali e alle condizioni di lavoro, ma anche in materia di assunzioni e formazione del personale. Questi obiettivi possono essere raggiunti in primo luogo nell’ambito di un’apertura alla contrattazione collettiva, accompagnata da un deciso impegno in questo senso delle associazioni padronali e dell’ente pubblico.
È poi essenziale un vigile controllo sugli abusi per il quale sono fondamentali, ed ha fatto male sentire affermare il contrario proprio dal Consigliere federale ticinese, le misure di accompagnamento alla libera circolazione, che vanno rafforzate.
La seconda preoccupazione riguarda i giovani lavoratori che sono stati particolarmente penalizzati dalla riforma del 2011. L’OCST aveva chiesto con forza numerose volte che i risparmi che l’Assicurazione disoccupazione aveva conseguito dalla riforma, e che hanno contribuito alla riduzione del debito con la Confederazione da 7 a 2, 2 miliardi di franchi in pochi anni, venissero in parte impiegati per l’introduzione di misure di sostegno per i giovani. Sarà discusso nella prossima sessione al Consiglio nazionale un postulato di Marco Romano in questo senso. Nonostante l’aggravio dei conti previsto, l’OCST continuerà a chiedere una maggiore protezione di questa categoria di lavoratori.
Renato Ricciardi