Lo scorso mese di maggio a Milano presso la sede della Università Cattolica del Sacro Cuore, si sono tenuti due giorni molto vivaci per celebrare gli ottant’anni del Premio Nobel Joseph Eugene Stiglitz, professore della Columbia University di New York.
Il 24 maggio il professor Stiglitz è intervenuto con la Lectio Cathedrae Magistralis, «An economy for a just, free, and prosperous society».
Durante il suo intervento ha preso in esame per l’ennesima volta il tema che più gli sta a cuore, ovvero le scelte inadeguate causate dall’economia liberista nel corso degli ultimi quarant’anni. Un’economia che non ha fatto altro che causare un enorme divario nella realtà sociale americana, e non solo vista la correlazione dei mercati mondiali. Questo divario ha prodotto inevitabilmente una diminuzione del potere d’acquisto, della qualità della vita e un aumento della povertà del ceto medio.
A questo riguardo non si può non citare il celebre libro di Stiglitz uscito nel 2012 «The price of inequality. How today’s divided society endangers our future». Einaudi lo ha pubblicato successivamente nel 2014, con il titolo «Il prezzo della disuguaglianza - Come la società divisa di oggi minaccia il nostro futuro», traduzione a cura di Maria Lorenza Chiesara.
È un libro, quello di cui si parla nell’articolo, che da subito espone un aspetto fondamentale della politica della distribuzione dei redditi statunitense. Si parla di una crisi economica che richiama, per gravità sul piano della disuguaglianza del reddito, quella della Grande depressione.
In tempi recenti, e già durante gli anni del boom economico (prima della crisi del 2008 quindi), l’1% dei cittadini statunitensi ha incassato oltre il 65% dei guadagni del reddito nazionale. E come se non bastasse, mentre il Prodotto interno lordo (Pil) cresceva, il potere d’acquisto e relativo tenore di vita venivano sempre più erosi.
Si descrive nel testo di Stiglitz come, a seguito della crisi del 2008, si continuerà a privilegiare volutamente l’interesse dei pochi, beneficiari degli attivi nel mondo della finanza, vale a dire l’1%, a scapito della restante popolazione, vale a dire quindi il 99%. Quest’ultima, lavorando e studiando, avrebbe in realtà tutti i presupposti per poter accedere di diritto a quel valore e benessere che effettivamente crea. Ma questo benessere non viene realizzato perché la sua distribuzione non è, come detto, equa.
Nel corso della recessione del 2010, in cui si stava lottando strenuamente per poterla superare, l’1% ha guadagnato il 93% del reddito aggiuntivo creato nella stessa ripresa.
Da notare inoltre come chi possiede la ricchezza (vale a dire l’1% della popolazione americana), ha accesso alle migliori cure sanitarie, alla migliore formazione nonché istruzione, a migliori opportunità professionali. Detenendo quindi conseguentemente il potere economico e politico. Non si può non notare come in questo modo venga minacciata quella che è molto più ambita dei profitti stessi derivati dal denaro in sé, vale a dire la democrazia, ovvero il patto sancito con la popolazione per creare un futuro prospero fondato su basi e valori condivisi. Ma come lo stesso autore del testo evidenzia, l’1% non può fare a meno del restante 99% se vuole prosperare.
Stiglitz afferma che la causa principale di tutto ciò è in particolare il fallimento delle operazioni svolte nel sistema economico, di scelte di mercato e manovre politiche non accettabili.
Espone le sue riflessioni e le sue critiche nell’ultimo e decimo capitolo di questo libro denso e pieno di osservazioni acute, il titolo stesso «La strada da percorrere: un altro mondo è possibile» offre finalmente al lettore respiro sia suggerendo una serie di metodi praticabili oltre che di speranza per un miglioramento futuro dell’approccio dell’economia.
L’alternativa che Stiglitz suggerisce è il capitalismo progressivo. Vale a dire un’economia di mercato capace di offrire prosperità nel contesto di una società giusta, libera e non da ultimo inclusiva. Per poterla realizzare, afferma sia importante creare un migliore equilibrio tra Stato, mercato e società civile coinvolgendo con accordi istituzionali cooperative e istituzioni no profit. Ma il punto più importante che rileva è che per poter realizzare un’economia di questo tipo, è necessario uno Stato democratico dove sussistono sistemi di controllo.
Ricorda inoltre l’importanza della centralità dell’educazione, della libertà di pensiero, della capacità di ragionare e effettuare scelte in piena consapevolezza senza coercizioni ideologiche di alcun tipo.
In conclusione, in riferimento alla Lectio Cathedrae Magistralis, «An economy for a just, free, and prosperous society», il rettore della Università Cattolica del Sacro Cuore, Franco Anelli ha sottolineato come la riflessione del professor Stiglitz si possa affiancare alla riflessione di Papa Francesco. Entrambi, malgrado abbiano espresso la loro opinione da punti diversi, convergono confermando il loro dubbio sul presupposto che la disuguaglianza sia legata ad un destino che non si può cambiare. Sia Papa Francesco che il professor Stiglitz affermano invece come la disuguaglianza sia figlia di scelte pubbliche, volute. E come lo stesso rettore Anelli afferma, queste scelte vanno riviste in favore di una messa in evidenzia del valore dell’essere umano, di una visione economica più razionale.
Manuela Balanzin